AL CUORE DEL NEMICO
Capitolo 9 °
Dopo varie esperienze condotte nella base sul lago d’Iseo,e l’avvento del Cte Grossi al comando di Betasom,si stava concretizzando un attacco contro il porto di New York.
Era stato ipotizzato l’impiego di un sommergibile oceanico in qualità di “trasportatore” e di un sommergibile d’attacco tipo CA,entrambi modificati e adattati all’uopo; precedenti esperienze condotte con il RS Da Vinci,avevano dato confortanti risposte.
Una volta giunti alla foce dell’Hudson River,il CA doveva proseguire autonomamente fino al cuore di New York,cercando di infliggere un duro colpo all’orgoglio degli americani,che mai avevano conosciuto piede
nemico sul proprio suolo dopo la guerra d’indipendenza.
La data ipotetica per tale missione era stata fissata per il Dicembre del 43 e si pensava di impiegare uno dei tre nuovi battelli,Murena,Sparide,Gronco,opportunamente modificati,in forza alla X^ Mas.
L’8 Settembre aveva posto fine al progettato attacco.
Studiando cartine,carte nautiche,portolani,rotte,fondali,correnti………….io la missione l’ho immaginata così,sperando che nessun nostro marinaio si rivolti nella tomba …!
NEW YORK - ATLANTICO DEL NORD 1943
Tutto era pronto ! Controllato,ricontrollato,collaudato,fino alla paranoia.
Il meccanismo di sgancio del CA4 dalla sua sella,un semplice gancio a scocco,provato e riprovato più volte.
Il battello trasportatore prescelto era il RS OTARIA del C.te DIENNE che tutti chiamavano Kashin e che già da tempo era a Bordeaux seguendo di persona come sempre,i lavori al proprio battello.
Non era molto entusiasta delle quattro orribili selle saldate in coperta,subito dietro la torretta,ad appena mezzo metro dal cupolotto della presa d’aria dei termici,ma da buon marinaio,nonostante subisse l’imbruttimento del suo amato Otaria,fece buon viso a cattivo gioco.
Quando giunsi a Bordeaux,scelto dal comando di flottiglia quale pilota del CA4 d’assalto,non ci fu molto tempo per capirne i motivi ; conobbi gli altri tre componenti l’equipaggio,gente maledettamente in gamba,parchi di parole , e perfetti conoscitori del mezzo.
Anche con il Cte Kashin,si ebbero poche occasioni di parlare della missione,sapendo entrambi che avremmo avuto davanti a noi,diversi giorni per discuterne una volta preso il mare.
La prima impressione che ebbi vedendo il CA4 ormeggiato di poppa all’Otaria,fu quella di una scatola di sardine,anzi,se possibile,ancora più piccolo.
Lungo all’incirca una decina di metri,dislocava 12/14 Tonnellate con una autonomia di 70 miglia a 2 nodi. Gli unici due siluri da 450 in dotazione trovavano posto esternamente ai lati dello scafo.
La versione “gamma” di questo singolare battello,completava l’armamento con una decina di cariche da 100 kg e una ventina di "cimici". L’equipaggio,me compreso,era di 4 persone,contro le normali 3 di tabella.
Per quanto tutto mi apparisse pazzesco,qualcosa di terribilmente attraente catalizzava ogni mia attenzione ; del resto era stato sempre così fin da ragazzo : ogni cosa era una sfida con me stesso,per verificare fin dove potessi osare.
Davanti al “mostriciattolo” in acqua,dalla quale spuntava solo una gobba oblunga e snella,su cui c’era verso prua un sottile periscopio,quindi una specie di bassa torrettina vetrata e subito dopo il portello di accesso all’interno, mi fermai a considerare su quanto poco potesse essere lo spazio interno ; in pratica,una volta calatisi all’interno ,ognuno doveva rimanere al proprio posto .
Nonostante tutto,ogni cosa era messa al posto giusto,ben a portata di mano,e nulla pareva lasciato al caso. Forse avremmo fatto meglio a farci prestare qualche elmetto dall’antiaerea della base.
Niente spazio al superfluo,considerando che anche un pacchetto di sigarette rientrasse sotto tale definizione.
In una settimana circa,sapevo dove esattamente mettere le mani e come comandare quel recalcitrante e giovane puledro.Molte le uscite sul groppone dell’Otaria,limitatamente al Bassin à flot,nel corso delle quali ogni cosa aveva dato ottima prova di funzionamento.
Alla fine giunse il giorno della partenza ; il CA4 era stato sistemato e rizzato sulle sue selle in coperta sull’Otaria,provviste imbarcate per il lungo viaggio,carburante a sufficienza ,siluri solo per armare i tubi,senza scorte supplementari,onde ridurre al massimo i pesi e trovare un giusto assetto.
Il Direttore di macchina aveva già approntato le nuove tabelle di dosaggio in base ai consumi giornalieri di acqua e nafta,e che quotidianamente avrebbe aggiornato nelle immersioni d’assetto.
L’Otaria mollò gli ormeggi esterni al bacino verso le 9 di sera,in modo da essere protetti dall’oscurità ed evitare che occhi malevoli spiassero la nostra uscita.
Appena al largo e liberi dalla scorta,l’Otaria mise la prua al mare per immergersi solo all’alba e fra mille precauzioni per evitare danni o strappi al sistema di imbracatura del CA4..
Una cosa era certa,e cioè che navigare in immersione con quel “coso” sul groppone era davvero
Un’impresa !!!
Dopo il primo giorno di navigazione,prendemmo di nuovo tutte le carte e i documenti a disposizione per ristudiare tutto con calma,passo per passo,e il Cte Kashin,che mai avrebbe rinunciato al suo battello,scherzando mi propose di fare a cambio : lui pilotava il CA4 fino al cuore di New York e io l’aspettavo sull’Otaria,sostituendolo per tutto il tempo.
Sapevo che avrebbe fatto carte false per essere al mio posto,ma sapevo anche che mai avrebbe lasciato ad altri il “suo” Otaria ; lui faceva parte dello scafo,poteva essere la ruota di uno dei timoni,o forse il tubo del periscopio,o uno degli indicatori dell’apparato Calzoni ! Poteva perfino essere parte componente del metallo dello scafo stesso !
Kashin ci avrebbe portato fino a Sud di Breezy Point,circa 2 o 3 miglia,compatibilmente con la presenza di unità di sorveglianza in zona. Oltre non era possibile. Quello sarebbe stato il punto di rilascio ottimale ancorché al limite,a causa della ridotta autonomia del CA4,che avrebbe proseguito da qual punto verso NordOvest nella Lower NY Bay e quindi nella Upper NY Bay.
Si sarebbe passati nei pressi della Statua della libertà e quindi di Ellis Island,dove ci saremmo fermati il necessario per individuare eventuali bersagli da colpire.
Indubbiamente c’era da tenere gli occhi ben aperti per individuare per tempo le reti di ostruzione ed evitare di finirvi contro,ma avevamo un vantaggio : gli americani non si aspettavano un simile attacco e tutte le luci della città erano accese e sfavillanti nel buio.
Una volta piazzati i siluri, avemmo raggiunto lo stretto braccio di mare fra Governors Island e le banchine a ridosso di Brooklyn Heights e South Brooklyn,dove avremmo lasciato cadere le cariche a tempo.Le cimici le avevamo lasciate a Bordeaux,per l’indisponibiità di operatori gamma in tempo e prima della partenza.
Fin qui il nostro ragionamento non faceva una piega ; ma il ritorno sull ‘Otaria era altra faccenda e tutta legata alla capacità di reazione degli americani che comunque ci avrebbero messo un po’ prima di capire cosa succedeva e sguinzagliare ovunque le unità di sorveglianza.
Eppure,nonostante tutto,noi del CA4 eravamo tranquilli e sicuri di farcela,e l’ottimismo di Kashin era davvero contagioso.
Del resto l’improvvisazione era per noi sommergibilisti la regola nei momenti difficili.
D'altronde anche se fossimo stati catturati e fatti prigionieri,ammesso che non ci avessero messo una corda al collo subito,potevo approfittare per fare delle ricerche sulla scomparsa di mio zio.
Nel 1926,alla vigilia del suo matrimonio,mio zio Leopoldo,Ufficiale Telegrafista di bordo,imbarcò sul piroscafo Alatrium,allora in armamento con la Soc.di Navigazione delle Ferrovie e diretto oltreoceano.Una volta giunto a Boston o forse un altro porto della costa Orientale,decise di sbarcare,o meglio disertare , e perdersi nell’immensa America e con lui altri 4 o 5 membri dell’equipaggio,fra cui forse anche il Comandante e il Direttore di Macchina.
Per circa una decina d’anni mantenne contatti epistolari con i suoi fratelli che nel frattempo erano torturati dalla mancata sposa che a tutti i costi voleva sapere dove fosse finito il suo amato.
Pare che lavorasse nelle miniere di sale in Louisiana per un po’ di anni e poi,convinto da una facoltosa americana a seguirlo fino a New York a far cosa non si è mai saputo.
L’ultima lettera,datata forse Agosto 1937, fu resa al mittente, “returned to sender” , a suo fratello Federico,che stanco di subire pressioni,aveva intimato l’aut aut al fratello : o ci autorizzi a dire dove sei o taglia i ponti con l’Italia in modo definitivo !
Zio Leopoldo non se lo fece ripetere e respinse quell’ultima dolorosa lettera.
Unica notizia postuma appresa prima della guerra,fu che aveva chiesto al ministero il permesso di fondare una sezione del PNF in terra d’America.
Forse aveva pensato che in questo modo poteva ottenere il perdono dal regime e magari ,perché no, anche il permesso di rientrare in Italia.
Ma di lui,nulla più !! Non una parola,una lettera,un sussurro ; niente ! Perso nella sterminata America,lasciando la famiglia a curare il disonore per tale assurdo comportamento.
Mentre mi domandavo quale fosse l’autorità più competente a cui chiedere notizie,fui svegliato dal Cte Kashin,anzi fui letteralmente catapultato giù dalla cuccetta ; eravamo arrivati !!
Tutto era pronto : l’Otaria sarebbe affiorato quel tanto sufficiente per aprire il portello in torretta e farci uscire per raggiungere il CA4 e così avvenne sullo sfondo della costa americana illuminata a giorno.Fui l’ultimo ad arrampicarmi sul gobbone del battello e a infilarmi nello strettissimo portello. Battevamo i denti dal freddo e a causa dei panni fradici che avevamo addosso.
L’unica cosa fino a quel momento,a cui non s’era pensato : lasciare abiti di ricambio sul CA .
Un ultimo sguardo e un saluto verso la torretta che lentamente prese a scomparire sott’acqua senza né bolle d’aria né schiuma ; appena l’acqua giunse alle camicie dei periscopi diedi un colpo secco al gancio a scocco e tutte le rizze d’acciaio finirono in acqua,dove,pochi attimi dopo,il CA prese a galleggiare libero.Con l’aiuto della bussola e delle luci della città,misi la prua verso NW a velocità esasperatamente lenta ; solo la piccolissima torrettina era appena a pelo d’acqua e non visibile.
Avevo il mio da fare per governare il piccolo battello : la corrente dell’Hudson si faceva sentire e come !!! Tutta l’operazione di messa a mare e rilascio era durata solo una 20na di minuti,senza ricevere disturbo dalle pur presenti unità di sorveglianza sia in rada esterna sia interna e lungo la foce dell’Hudson.
Appena superato Staten Island sulla sinistra,avvistai il biancore della statua della libertà mettendo la prua in quella direzione. A poche decine di metri,avvistai la lunga fila dei gavitelli di sostegno delle reti protettive. Di sicuro,se gli americani non ci avessero regalato tutta quella luce ci saremmo infilati nelle maglie della rete.
Tutto sembrava calmo e immobile,tranne qualche traghetto che andava da un lato all’altro del fiume; tutte le navi agli ormeggi avevano le luci accese e nulla dava cenno che quello fosse un paese in guerra : sulla terraferma,più verso l’interno,enormi ciminiere eruttavano nuvole di fumo biancastro,ben visibile anche nel buio.
Poco più di prua,il battello posareti , immobile nell‘acqua,come un cetaceo addormentato !
Certo che gli americani dovevano proprio sentirsi sicuri ! Se nel corso della loro storia,avessero dovuto subire l’onta di un piede nemico sul suolo patrio, forse tanta sicurezza sarebbe stata messa da parte ; del resto erano stati presi con le braghe in mano anche a Pearl Harbour !
Appena libero dal posareti sulla dritta del CA, accostai verso Nord per passare dietro la statua che rimase beata e tranquilla a sorvegliare e cullare il sogno e il sonno americano.
A circa 300 metri accostai leggermente sulla dritta,giusto per lasciare un po’ d’acqua fra il CA ed Ellis Island ; le informazioni erano giuste . Almeno due navi passeggeri e trasporti vari disseminati lungo le tantissime banchine del porto ; in effetti New York era un porto immenso .
Sullo sfondo di Governors Island si vedevano chiaramente i due fumaioli di una delle due navi passeggeri ; l’altra era più avanti,cioè più verso la parte settentrionale dell’isola.
La distanza doveva essere ridotta al minimo,non oltre 300 metri, per avere certezza del successo ;
in quelle condizioni si lanciava dritto di prua senza regolare angoli di tiro,un po’ come sparare un colpo di pistola.
Immersi un po’ di più il battello per non far scorgere la piccolissima torretta,ma attraverso il minuscolo periscopio si riusciva a distinguere ben poco. Bisognava stare con gli occhi aperti,forse più per il timore e il pericolo di venire speronati che di essere avvistati.
Dovetti rinunciare al periscopio,facendo risalire il battello leggermente e riducendo la velocità al limite della governabilità dello stesso CA . Faticavo moltissimo a tenerlo in rotta a causa della forte corrente,per cui fui costretto a dare ben 10 gradi di deriva alla lettura della bussola.
Lentamente,come un animale marino in attesa della preda,avvicinai il CA alla nave da passeggeri di cui non si riusciva a distinguere del tutto il nome. , forse Morning Star .
Era tempo ; regolata la profondità del siluro di dritta, abbassai la leva di lancio liberando il siluro dalle sue imbracature all’interno del tubo. In attesa dell’esito armai anche quello di sinistra e lo approntai per il lancio. Un boato profondo scosse tutta la baia risvegliandola dal suo torpore e anche il piccolo battello fu scosso dall’onda d’urto dell’esplosione.
La Morning Star,avvolta dal fumo e dalle fiamme,si era seduta sul fondo con la poppa,ma non accennava ad affondare ; fui colto dall’incertezza se lanciare a quella stessa nave anche il siluro di sinistra o piuttosto lanciare all’altra nave passeggeri. Avrei lasciato entrambe le navi danneggiate o piuttosto avrei completato l’opera sul Morning Star ?
Nel primo caso avrei lasciato due navi danneggiate ma forse riparabili e gli americani in preda a un forte shock psicologico mentre se finivo la nave colpita forse ci sarebbe stata una eco minore.
Dovevo decidere in fretta e sciolto ogni dubbio lanciai il secondo siluro alla Mornimg Star che colpita finì con tutto lo scafo fino al ponte di comando ,sommerso nell’acqua limacciosa del porto.
Il piano prevedeva che ci si infiltrasse dietro Governors Island e seminare le cariche a tempo in dotazione,ma l’intera baia era in allarme e si intravedevano molti fasci di luce saettare un po’ ovunque ; prima dei DD sarebbero giunte le micidiali PT Boats
Decisi quindi una variante all’ordine originario accostandomi ancora di più alla costa di levante e con rotta verso Sud per riguadagnare l’uscita . Durante il percorso e lungo qualche molo importante avrei seminato le cariche. Forse gli americani se l’erano dormita alla grande fino a quel momento,ma dopo le due esplosioni e l’affondamento della nave,l’intera baia sembrava un nido di vespe.
Seminammo le cariche a un miglio una dall’altra fino all’entrata della Lower Bay.Poi dovetti cambiare assetto al CA che alleggerito lasciava troppo scafo fuori dell’acqua.
Lentamente riuscimmo a guadagnare sempre più miglia verso la foce dell’Hudson e la posizione in cui speravamo di ritrovare l’Otaria.
C’erano navi ovunque spaziasse lo sguardo e la superficie del mare era illuminata a giorno ; la decisione di seguire molto da vicino la costa si era rivelata la migliore,sebbene molte auto si erano fermate sulla strada che costeggiava la baia e puntavano i loro fari verso il mare.
Con il battello immerso a circa un metro di profondità governavo come potevo urtando di continuo contro vari ostacoli.,in prevalenza boe di segnalazione.
Dopo una navigazione allucinante e al limite del crollo fisico,finalmente mi parve di avvistare Breezy Point ; forse se la fortuna ci assisteva ancora ce l’avremmo fatta,ma come avremmo potuto trasbordare sull’Otaria ? Di sicuro dovevo abbandonare il CA affondandolo in acqua profonde , ma rimaneva il problema di risalire a bordo. La sorveglianza era diventata spasmodica anche appena fuori della foce del fiume ; velocissime PT Boats sfrecciavano ovunque,scandagliando il buio con i loro proiettori.
A un certo punto udimmo una esplosione in lontananza pregando che fossero le nostre cariche ad esplodere.Quello poteva essere motivo di rientro di un po’ di unità verso la parte superiore della baia.
E così fu.
Rimase un lontano DD,verso SudOvest a pattugliare la zona invano. Udimmo sott’acqua alcuni colpi soffocati : erano i segnali convenuti con l’Otaria.
Aprii il portello esterno dopo aver riportato il battello a mezzo metro sopra la superficie del mare,fermando i motori. Feci uscire gli altri tre uomini dell’equipaggio e ritornai in basso per accertarmi che la presa d’acqua fosse stata aperta. Riguadagnai veloce l’uscita,visto che l’acqua cominciava ad entrare abbondante e il battello si appesantiva.
Rimanemmo in acqua al freddo per circa una decina di minuti, vedendo dopo poco emergere la torretta dell’Otaria a breve distanza. Con rarissima abilità ,l’equipaggio riusci a tenere fuori dell’acqua a mala pena un metro di torretta. Giungemmo a nuoto nei pressi della lucida sagoma e ci arrampicammo stanchi ma aiutati da mani veloci.In breve fummo nella sottostante camera di manovra,mentre silenzioso l’Otaria si immergeva di nuovo mettendo prua verso levante.
Il Cte Kashin,di fronte a me,che stremato mi ero abbandonato sulle lamiere in camera di manovra insieme agli altri,mi porgeva una coperta e un generoso bicchiere di cordiale che mandai giù avidamente riprendendo un po’ di calore,mentre sentivo il forte liquore bruciarmi stomaco e frattaglie varie.
Non avevo la forza di dire granchè,ma Kashin si aspettava anche solo un gesto,e questo almeno glielo dovevo subito.
Ebbi solo la forza di abbassare più volte la testa e lui capì,dal momento che un largo sorriso gli si stampò da un orecchio all’altro.
- Ben fatto Etna !
- Porca vacca ne parleranno anche sui libri di storia
E mentre potenti pacche sulla spalla mi scuotevano dalla testa ai piedi, mi offrì un mezzo Toscano già acceso,appartenente alla sua riserva personale e privata alla quale nessun essere umano aveva accesso.
- Te l’avevo promesso e questo te lo sei proprio guadagnato.
Non ricordo di averlo fumato,o forse si,non ricordo più a distanza di tanti anni , ma una cosa la ricordo bene : dormimmo 12 ore di filato e al risveglio l’equipaggio dell’Otaria si fece in quattro per non farci mancare nulla,a cominciare da una colazione che negli ultimi tempi potevamo solo sognarcela.
Chissà,forse poteva anche essere andata così se la missione avesse avuto luogo.
Ma sono fermamente convinto,che tutto ciò sarebbe stato ed è nelle migliori tradizioni marinare del nostro
paese,ed un omaggio particolare e imperituro agli uomini della X^ Mas che vivranno sempre
nei miei ricordi e in quelli di ogni italiano che sia tale.C.te Etna
Alla memoria del Com.te Mario Arillo
MEDITERRANEO 1944
…………………………………….Dalle memorie del Cte KASHIN
Tutti svegli e presenti,anche il personale fuori servizio,non avendo ancora battuto il Posto di Combattimento.
Al periscopio si era potuto già osservare vaghe forme di terra : nostra destinazione,Rada di Algeri.
Quella che fino a pochi mesi prima era stata una guerra offensiva,ci vedeva mestamente impegnati in una guerra difensiva.
In terra d’Africa stavamo lasciando la Libia per attestarci in Tunisia,dove avremmo dovuto combattere in pratica su due fronti : a Est contro le avanzanti truppe inglesi dell’8^ Armata e a Ovest contro quelle americane che dopo la batosta iniziale al passo di Kasserine venivano avanti come un rullo compressore.
Soltanto l’11/12/42 il Cte Mario Arillo,con un operazione arditissima aveva dimostrato che gli Italiani non erano ancora domi e anzi,potevano ancora fare molto male.
Avevamo studiato a fondo la relazione di Arillo sulle modalità di condotta del forzamento di Algeri,in particolar modo tutto ciò che riguardava la disposizione delle ostruzioni retali,dei campi di mine e non meno importante,la situazione dei fondali e delle correnti.
E ora toccava a noi .
Prima della partenza,l'OTARIA aveva effettuato un periodo di lavori in bacino; era stata fatta la sabbiatura allo scafo,avevamo sostituito entrambe le guarnizioni dei pressatrecce dopo aver sfilato gli assi ; smontato,controllato,revisionato tutto quello che si faceva in tempo prima di essere ricacciati in mare.
In particolare avevamo risolto il problema dell’incatastamento dei timoni di profondità poppieri ; nulla rilevandosi si era ipotizzato che potesse essere qualcosa nel circuito oleodinamico dei comandi e difatti,dopo aver svuotato l’intero circuito si era trovato dell’olio emulsionato. In altri termini era entrata acqua nel circuito che aveva provocato danni ai pistoni e agli interni degli stessi tubi.Non c’era tempo per fare lo stesso lavoro agli altri organi direzionali,quindi l’arsenale si limitò a sostituire semplicemente l’olio nei circuiti.
Si era sostituita la guarnizione del periscopio d’attacco,che tanto ero sicuro che alla prima immersione a fondo,avrebbe ripreso a perdere.E poche mani di pittura ovunque .l'OTARIA profumava di vernice fresca che copriva gli abituali miasmi del battello. Il tempo di uscire in mare e dopo qualche giorno si sarebbe respirata la stessa identica aria puzzolente di sempre.
Il battello sembrava essere a posto,non proprio come nuovo,ma sicuramente meglio di quando s’era entrati in bacino.
Il Capo RT si era sistemato davanti all’ecoscandaglio e iniziava le sue manovre di controllo,il giovane G.M. prestatoci dalla X^ Mas ricontrollava con puntigliosa meticolosità la sua attrezzatura,l’ufficiale di rotta intento agli ultimi preparativi sul tavolo da carteggio,il Capo Elettricista che aggiornava periodicamente il Direttore di macchina sullo stato della carica degli accumulatori e sulla loro densità.
Avevamo pochissime luci accese ,giusto l’indispensabile,per ridurre al minimo il consumo sulle batterie.
Fra un po’ avrei fatto rigenerare l’aria,dopo di che ogni superfluo macchinario avrebbe cessato di funzionare fino al termine della missione. Quella del subacqueo,non mi sembrava una necessità impellente,ma visto la preziosità dell’aiuto del TV Jacobacci fornito all’Ambra immerso 18 metri sotto di lui,durante l’atterraggio ad Algeri,valeva forse la pena averlo a bordo.
Avevamo avuto una navigazione molto sofferta a causa del pessimo stato del mare e ancora ero molto perplesso sulla fattibilità a breve di quella missione ; c’era ancora un mare lungo molto preoccupante ed ero sicuro che ci avrebbe dato enormi problemi per tenere la quota.Normalmente,a 20/30 metri,il battello non viene infastidito dal mare in tempesta,ma l'OTARIA era stato costretto a scendere fino a 80 metri per trovare un po’ di requie.
Come volevasi dimostrare,una volta giunti in quota,la guarnizione del periscopio aveva ripreso a perdere,e ora avevamo il solito e fastidioso gocciolio lungo il lucido e unto tubo d’acciaio.Prima di immergerci avevamo fatto in tempo a imbarcare una valanga di acqua dal portello della torretta,poi smaltita dalle pompe di sentina ; le onde enormi davano l’assalto all'OTARIA da ogni direzione e a quel punto non si riusciva quasi più a governare sui timoni.
Il nostro miglior timoniere s’era rotto il naso scivolando e battendo contro la ruota del timone ,ma non aveva voluto saperne di stare “in branda” ; era in camera di manovra,con il volto tumefatto e una vistosa medicazione al posto del naso. La lista dell’infermeria era completata da un motorista e un altro nocchiere,entrambi in branda con febbre alta e tosse.
All’interno della camera di manovra,era ripreso anche il consueto gocciolio da consensa,e a dire il vero il freddo era diventato pungente ; avevamo tutti indossato indumenti di lana e io m’ero anche infilato nel cappottone da guardia,molto più simile ad un saio di monaco francescano che a una tenuta da sommergibilisti.
-- Manca ormai poco – dissi rivolto al mio secondo
-- Bene Comandante.Proviamo a contattare l’altro battello ?
-- Affermativo ! Segnali brevi e speriamo di non essere intercettati. Fate battere posto di combattimento.
I campanelli d’allarme presero a suonare bassi rimbalzando in ogni angolo del battello. Ma in effetti non ce ne sarebbe stato quasi bisogno : l’equipaggio era già tutto pronto e ognuno al proprio posto da tempo.
Un ultima osservazione veloce al periscopio per avere un panoramica generale della situazione,e per fare l’ultimo punto nave a vista,dopo avremmo avuto solo i dati dell’ecoscandaglio per poterci orientare.
-- Metta giù il punto nave – dissi all’Uff.di Rotta dopo avergli trasmesso i rilevamenti di alcuni punti cospicui della costa algerina
-- Capo RT cominci a battere il fondale !
-- Affermativo Comandante,siamo prontissimi.
Ancora una volta,l'OTARIA dava dimostrazione di efficienza perfetta,tutto filava liscio come l’olio ; c’era solo in ultimo da sperare in una buona sorte e null’altro : noi ce l’avremmo messa tutta !
-- Rotta 2-2-5 Pari avanti Adagio
L'OTARIA,ubbidiente accostava sulla nuova rotta,avevo deciso per il forzamento da SudEst , mentre quasi certamente,non ricevendo nulla agli idrofoni,Il BRIN,in squadriglia con noi,stava tentando il forzamento dal passaggio Nord,il buon vecchio Comandante Etna !
Un rapida occhiata al periscopio,che grazie al mare lungo ,si nascondeva bene nel cavo delle onde e avevo già abbastanza chiara la situazione.Quello che non mi tornava era la disposizione delle reti riportata dal Cte Arillo ;
quasi certamente gli odiati inglesi avevano cambiato qualcosa. Decisi quindi di dirigere verso un rimorchiatore portuale,quello più a levante,nella quasi certezza che fosse uno dei tendi-reti.
A circa una 30na di metri dal rimorchiatore,ancora una veloce osservazione al peri ; stava andando tutto come previsto e nonostante la forte sorveglianza , nessuno ancora ci aveva rilevato,e neanche il BRIN pareva fosse stato avvistato.
Quindi tutto andava bene,ma l’istinto e l’esperienza mi dicevano di aprire ancora di più gli occhi e affinare ogni senso; i guai arrivano proprio quando sembra che tutto vada bene.
Il GM gamma,intanto aveva cominciato la vestizione della sua muta con studiata lentezza,per non lasciare nulla al caso.
Era un giovane taciturno,ma estremamente gioviale quando in buona compagnia ; ammiravo molto quella gente che aveva fegato da vendere ancora più di noi sommergibilisti.
Ma ancora non ero del tutto deciso ad impiegarlo , si sarebbe valutato più avanti. Prima di partire,avevamo rizzato sul copertino ,a poppa della torretta,un tronco di albero e un grosso cespuglio in cima alla boa telefonica ; all’occorrenza era stata preparata anche una ghia da 20mm lunga circa una 30na di metri e assicurata al volano della stessa boa.
Serviva tutto a mimetizzare la boa se e quando avessi deciso di mandare in superficie il GM , sempre sperando che il mare non avesse strappato tutto.
Alle 08.35 al Traverso del rimorchiatore,sulla nostra dritta.
-- Rotta 3-2-5 Pari Avanti Molto Adagio. Scandaglio la profondità ??
-- Affermativo Comandante. Abbiamo 6 metri sotto la chiglia.
A conti fatti,quindi eravamo su un fondale di circa 18 metri. Veramente pochi !
Feci alzare il periscopio con estrema lentezza,giusto a pelo d’acqua.
Davanti ai miei occhi due grosse navi da passeggeri : la prima a circa 1200 e l’altra a 2900 metri , in linea di fila,ancorate fra due reti parasiluri,oltre quella che già avevamo lasciato di poppa.
La rada era maledettamente affollata di navi di ogni tipo e misura : c’era davvero di tutto,da Trasporti Truppa a Petroliere e navi da carico grosse; e tanto per non sbagliarsi,le onnipresenti PT Boats,cacciatorpediniere,Incrociatori leggeri,e anche una portaerei in fondo al porto vero e proprio.
Da leccarsi le dita comunque,nonostante avessi avvistato un DD classe Fletcher,nei pressi delle ostruzioni portuali.
Li ritenevo i migliori CT ,visti fin’ora,ed erano anche i più temuti.
La decisione era presa: mi sarei messo su rotta nord,seguendo la rete parasiluri collocata sulla sinistra delle due pax
e quando sarei stato a metà circa,della distanza che separava le due navi,avrei lanciato prima da poppa una coppia di siluri e poi da prua un’altra coppia all’altra nave .
E poi ,se i colpi andavano a segno ci saremmo defilati di prua dove c’era un solo DD classe Tribal di guardia e con macchine ferme ; avremmo virato intorno al tendirete e con rotta 225 circa ci saremmo riportati al centro della rada
Che era un po’ meno ingombra e dava qualche possibilità maggiore di manovra,sebbene a quella profondità esigua
Se i caccia avessero lanciato cariche di profondità avrebbero fatto un massacro ; e noi non avremmo avuto scampo.
In lontananza potemmo udire delle esplosioni,piuttosto forti ; era per certo,
il BRIN che aveva cominciato a colpire e a seminare distruzione.
Ora la cosa si faceva davvero seria : la sorveglianza era scattata al massimo livello. Si udivano rumori di eliche velocissime un po’ ovunque . Era tempo di osservare al periscopio e lanciare,non potevamo indugiare oltre.
Una rapida occhiata ed ebbi conferma che si era in posizione per il lancio,non proprio ottimale,ma meglio di così non si poteva proprio fare e avevo anche letto il nome delle navi : la prima di poppa era la UNITED STATES mentre quella di prua era la QUEEN MARY . Che colpo !
Nel giro di pochissimi minuti lanciammo tutti e quattro i siluri .
Brevi ma intensi istanti e due forti esplosioni di poppa : la U.States stava affondando dritta per sedersi sul basso fondale.
In camera di manovra tutto avveniva con la consueta calma,ognuno concentrato sul proprio compito senza concedere nulla alla distrazione.
Altre due forti esplosioni verso prua ! Al periscopio apparve la Queen Mary avvolta dalle fiamme e dal fumo mentre scivolava anch’essa sul fondo.La U.States intanto era appoggiata sul fondo e si potevano distinguere solo le alberature,i fumaioli e il ponte di comando ad cui uscivano ampie volute di fumo nero.
La rada era tutta in subbuglio ; forse pensavano a un attacco di uomini gamma,ciononostante c’era un forsennato andirivieni di unità sottili.
Riuscire a lanciare altri siluri appariva un impresa ardua e non solo per la sorveglianza ma anche per l’elevato numero di reti protettive.
Il BRIN di Etna intanto continuava a seminare il terrore nella rada : al periscopio c’erano già 5 o 6 alte colonne di fumo nella direzione dove si era sviluppato il suo attacco dalla sala idrofoni continuavano a pervenire segnali di allarme da eliche veloci ; a questo punto dovevamo solo preoccuparci di uscire indenni dalla rada di Algeri.
Ancora più sfortunati di altre volte avevamo il sistema di aria compressa nelle camere di lancio in avaria.
Ci rimaneva da lanciare solo i nostri stivali.
Eravamo ben lontani dal valore del C.te Arillo ma ci si difendeva ugualmente bene.
Meditavo sulla prossima mossa da fare mentre avevo scartato la possibilità di rimanere immerso e sul fondo nei pressi delle due navi passeggeri in attesa del buio.
Il Capo elettricista ci aggiornò sulle rimanenze di carico delle batterie e non è che si potesse scialare più di tanto con le pochissime ampère rimasteci.
Il freddo pungente in camera di manovra diventava sempre più intenso. Restare in zona e sul fondo con tutto il via vai di ct e corvette non era consigliabile,infatti stavano affluendo in gran numero presso le unità colpite dall'OTARIA per salvare equipaggi e truppe imbarcate.
Quasi strisciando sul fondo e con una esasperante lentezza rifacemmo tutto il percorso già fatto ,sfiorando reti e mine ad ogni metro.
Le unità di sorveglianza nei pressi del varco retale di SudEst si erano intanto allontanate più verso il largo.
A un certo punto l'OTARIA infilò la prua nell’ultima ,maledetta ,rete , dimostrando ancora una volta la totale inutilità del tagliareti a prua in coperta.
Riuscii lentamente a sfilarmi dalle maglie d’acciaio con una esasperante tensione.
Le lancette dell’orologio segnavano già le 1700,quindi sopra di noi era ancora giorno.
Fu a questo punto che ripensai all’impiego del GM incursore.
Lo guardai con simpatia : un volto pulito,deciso,quasi ascetico .
Era pronto all’azione aspettando solo un mio cenno d’assenso ; ma non ve ne fu bisogno.
Un cenno d’assenso con il capo da parte sua ,senza bisogno che le mie labbra pronunciassero parole inutili.
-- Ridurre al minimo dei giri Dir,giusto quello che serve per far lavorare i timoni
-- Agli ordini comandante !
Seguii il giovane ufficiale fino al portello stagno d’accesso alla garitta.Richiuse dietro di se il pesante portello e cominciò a manovrare le valvole di allagamento interne. Attraverso il vetrino d’osservazione vidi l’acqua salire fino a sommergerlo,poi solo la sua vaga ombra che saliva verso l’alto dopo aver aperto il portello stagno esterno in coperta.
Ancora un minuto e un secco colpo sullo scafo,come convenuto con l’incursore diede il via all’ordine di rilascio della boa telefonica a cavo frenato.Bisognava evitare che il galleggiante affiorasse in superficie troppo violentemente mettendo in allarme qualcuno.
Si poteva sentire chiaramente il rumore del cavo che si srotolava lentamente accompagnato da un lieve cigolìo.
Ancora un paio di minuti e sentimmo il cicalino del telefono collegato alla boa.
-- Ci sono Signor Comandante – sussurrò la voce dell’incursore
-- Benissimo. Ricorda dov’è la prua dell'OTARIA ?
-- Signorsì Comandante. La rotta è ancora su 0-4-5 ?
-- Affermativo.
-- Accosti,per favore su rotta 0-6-0 . In questo modo scapoliamo il tendirete e poi si può mettere in rotta per il largo.
-- State attento alla scia della boa. Avvertitemi se appare troppo evidente.Riuscite a stare aggrappato alla boa ?
-- Tutto bene quassù Comandante
Ma la voce dell’ufficiale denotava enorme fatica.
-- Dir ridurre ancora giri. Timone per rotta 0-6-0.
-- Affermativo Comandante. Rotta 0-6-0
-- Alla via così ! Boa mi sentite ? Ho fatto ridurre ancora di giri.
Nulla.Solo un forte scroscio di natura indefinibile.
-- Comandante da boa – risuonò d’improvviso la voce dell’incursore
-- Avanti Giovanotto ! Mi ha quasi fatto venire un accidente. Cosa succede ?
-- Sono andato sotto per un attimo e qui la mimetizzazione è quasi del tutto saltata.Comunque Comandate ora è libero dal tendirete.Ancora 200 metri e può accostare per Nord.
-- Preparatevi per il rientro.Chiudere la boa e venite giù con essa. Ha dovuto usare la ghia ?
-- Negativo Comandante.Mi sarebbe stata solo di intralcio
-- Ascoltatemi bene.Ora fermo sul fondo e recupero la boa.Non posso farlo con il battello in abbrivo senza il rischio di perdere Voi e la boa.
-- Agli ordini Comandante come credete.
Attesi ancora tre minuti di orologio e poi fermai le macchine facendo allagare le casse di assetto e di compenso.
Il battello si adagiò sul fondo con dolcezza e potemmo udire il leggero strusciare dello scafo sulla sabbia.
A quel punto diedi ordine di rientrare la boa telefonica,sempre pregando che tutto andasse per il verso giusto.
Completato il recupero del cavo e udito il rassicurante scatto dei blocchi laterali della boa,rimanemmo in attesa
che l’incursore aprisse il portello in coperta ed entrasse in garitta.
E finalmente dopo qualche minuto udimmo le pompe che esaurivano l’acqua della garitta.
Non ricordo quante persone fossero intorno al portellone interno, in attesa che si aprisse,ma ricordo che quando l’incursore rientrò all’interno del battello,ci fu una gara per aiutarlo a stare in piedi e per togliere la muta e tutto il resto dell’armamentario.
Guardai negli occhi quel giovane e coraggioso ufficiale senza leggervi altro che l’orgoglio pacato di aver dato una mano all'OTARIA a venirne fuori. Mi voltai per tornare in camera di manovra dandogli ancora un ultimo sguardo carico di stima e
di infinita riconoscenza.
Dopo aver alleggerito la zavorra,rimisi gli elettrici a regime accostando per Nord,ormai eravamo liberi dalle ostruzioni.
L’orologio segnava quasi le 20.00 e quindi in superficie ormai doveva essere quasi buio fatto.
Feci alzare il periscopio con estrema lentezza e appena fuori brandeggiai le manopole per un giro completo di 360 °
Tutto libero o quasi di prua. Le unità di sorveglianza erano abbastanza lontane,intente a dare la caccia chissà a cosa,sperando che non fosse il BRIN che aveva seminato morte e distruzione nella pur munita rada di Algeri.
Ancora un ora e dopo un puntiglioso ascolto agli idrofoni emergemmo lentamente per non creare turbolenza in superficie.
In quelle acque era facile suscitare fosforescenze pericolose e tali da denunciare la presenza del battello.
Appena aperto il portello della torretta,che si spalancò con violenza per la pressione interna del battello,entrò un getto di aria fresca e benefica.Eravamo stati immersi per lunghissime ore,troppe.
La carica degli accumulatori era ridotta al minimo dei minimi ; ancora un’ora sott’acqua e non ci sarebbe stata energia sufficiente per muovere l'OTARIA di un solo centimetro.
Intorno a noi la notte era buia e senza luna,ma il mare si era finalmente calmato.A dire il vero speravo ancora in un po’ di mare mosso , alleato sicuro dell'OTARIA in quei frangenti ; ma tutto sommato andava bene anche così.
L’equipaggio ritornò alle sue mansioni normali mentre mettevo sempre più acqua fra
l'OTARIA e la costa algerina.
Intercettammo i segnali del BRIN che comunicava al Comando e trasmettemmo anche noi il rapporto provvisorio di missione . Qualche giorno ancora e avremmo avuto un po’ di meritato riposo.
Ma nessuno di noi avrebbe potuto immaginare cosa sarebbe accaduto di li a cinque mesi , e quali altri travagli morali sarebbero stati imposti alle nostre coscienze di soldati e uomini in arme .
Per il momento non vedevamo l’ora di rientrare e incontrare personalmente il Comandante Arillo per stringergli la mano e ringraziarlo per le sue preziose informazioni che ci avevano consentito di dare un altro colpo agli alleati e tornare alle nostre basi.
Mediterraneo 1944
CC DIENNE (KASHIN)
Grupsom - Sommergibili Mediterranei