SOTTOCAPO F.A  BARCARO GIOVANNI

 

 

 

 

Nelle lunghe ore di ozio, in questa lontana terra d’esilio, cercai di ricomporre  come meglio potei, ora per ora, gli avvenimenti che hanno caratterizzato la nostra sciagura che ci tolse dalla madrepatria solo dopo pochi mesi di guerra.

 

 

 

BOLLETTINO DEL REGIO SOMMERGIBILE   “ BERILLO”

 

 

Nelle acque di Candia dopo aver attaccato e offeso una formazione nemica con tre siluri che per puro caso furono schivati, sostenemmo un aspro combattimento di due ore e mezza contro due caccia inglesi che lanciavano quarantaquattro salve di bombe.

Le forti esplosioni ci fecero raggiungere la profondità di centottanta metri senza alcun inconveniente, con gli ultimi quaranta chilogrammi d’aria e aiutati da una terrificante esplosione di bombe di profondità si emergeva assistendo così all’ultima e definitiva immersione del “ Berillo” .

Solo due uomini colpiti da una granata nemica rimasero da eroi al loro posto d’onore seguendo nelle profonde acque del Mediterraneo lo scafo che li aveva ospitati in tante difficili e ardue imprese.

 

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Serg. Nocch.   Maja Alberto

Serg. Cann.    Parodi Sebastiano

 

 

  PRESENTE ! 

 

 

 

Meditteraneo Orientale 02 ottobre 1940  XVIII ore 05,15

 

 

 

 

L’ULTIMA MISSIONE DEL REGIO  SOMMERGIBILE  “BERILLO”

 

 

Porto di Augusta 18 settembre  1940.

AVerso le 16i è venuto l’ordine di partire per una missione di guerra. Subito corsi a bordo.

L’Ufficiale in seconda ci disse che fra qualche ora si partiva per una missione pericolosissima e delicata. Ci avvertì che avevamo il compito di proteggere l’avanzata delle truppe del Generale Graziani .

I nostri cuori dopo quell’avvertimento fremevano. Fremevano non di paura, no!  Ma di fierezza di poter fra giorni incontrarsi col nemico.

Vessilli al vento, voci, grida ……..Frastuono di motori echeggiavano e si disperdevano nel cielo mentre nell’aria si diffondeva un lento e cadenzato ritmo di canzoni.

Un pugno di uomini dietro la sagoma della torretta del sommergibile cantava vecchie canzoni di guerra in attesa di salpare.

Il sole, in un tramonto dorato, scendeva lentamente come se volesse baciare il mare.

Ma ecco il il fischio del nostromo ci avvertiva che il Comandante stava salendo a bordo.

Subito diede l’ordine:  “ Posti di manovra” Tutti corsero ai loro posti ma prima di scendere dal portello guardavano, col volto rivolto al cielo, quel tramonto  color oro come  per dire:  “ Ti rivedrò ancora!”.

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Intanto il nostromo, con un colpo magico, sganciò quel mostro d’acciaio che con la prua rivolta al largo sembrava volesse sfidare tutti i mari e tutti gli oceani.

Erano le ore 20,00

Mentre ci si allontanava dalla riva sentivamo echeggiare l’evviva di saluto al Re e al Duce elevato dalle voci degli equipaggi radunati sulla banchina. Appena usciti dal porto abbiamo iniziato la navigazione di guerra. Portelli chiusi e pronti all’immersione.

Si naviga in superficie tutta la notte ed il giorno successivo ci si immerge alle 11 per non essere scorti da un quadrimotore inglese in ricognizione.

Si riemerge alle 21 circa per ricaricare le batterie e proseguire la navigazione verso la zona destinata. Ci immergiamo all’alba fino alla profondità di 50 metri rimanendo in agguato attraverso l’ascolto idrofonico pronti, al minimo rumore, a portarsi a quota periscopica per attaccare il nemico qualora venisse avvistato.

Alle 18 si torna in superficie per proseguire verso il punto assegnato. Alle 24 la pompa di poppa viene fermata per avaria.

Aiutato da un altro fuochista lavoro per qualche ora sotto i tubi di lancio in una posizione veramente critica e scomodissima.

Terminato il lavoro mi sentivo le membra tutte doloranti per la posizione sostenuta, ma questo piccolo sacrificio fu per me un  nonnulla quando vidi l’ottimo risultato del mio lavoro.

 

Ci immergiamo nuovamente  stando sempre in agguato  per tutta la giornata a profondità variabili. Nulla venne a confermarci la presenza del nemico.

A tarda notte riemergiamo per navigare impazienti di arrivare al punto stabilito.

Verso le 4 del mattino ci si immerge nuovamente . Siamo vicini ora alla zona ordinata e perciò dobbiamo tenere gli occhi bene aperti essendo probabile il passaggio di unità nemiche.

Durante le prime ore di immersione i timoni elettrici di profondità di poppa non rispondono ai comandi del timoniere . Subito si ingrana la manovra a mano e si procede per la riparazione che si dimostra subito difficoltosa.

Lavoriamo accanitamente tutto il giorno e verso le 17 i timoni erano riparati ma non funzionano  però alla perfezione e c’è la probabilità di un’altra avaria.

Alla sera, come al solito, si riemerge per caricare sia gli accumulatori che l’aria per poter di giorno navigare pendolando per ispezionare la zona.

Navighiamo a circa 10 miglia dalla costa. Durante la notte si avvistano gli incendi dei bombardamenti e il fuoco della contraerea verso “ Marsah Matruh” i quali ci costringono ad allontanarci per il forte chiarore.

Ai primi albori del giorno si torma sott’acqua rimanendo sempre in ascolto con gli idrofoni ed in agguato. Le ore trascorrono lente e faticose. Finalmente arriva la notte e con essa la possibilità di riemergere per rifornirci delle materie prime indispensabili per la vita di un sommergibile.

Dopo poche ore di navigazione prima il motore di dritta e poi quello di sinistra devono essere fermati per mancanza di circolazione dell’olio.

Dopo aver scaricato parecchi chilogrammi di aria riparte, a due cilindri, solo il motore di sinistra.

Lavorando tutta la notte i motoristi cercano con tutti i mezzi possibili di eliminare questa avaria.  Ma invano!

Come al solito, al far della luce, ci si nasconde in seno al mare per rimanere in agguato tutta la giornata a varie quote di profondità.

Nulla. Nulla veniva a conferma della presenza nemica in questa zona.

E così alla sera come al solito si emerge per caricare il più possibile energia ed aria con l’unico motore termico che andava a due cilindri.

Verso le 23 un fatto nuovo viene a portare un certo movimento a bordo.

Il radiotelegrafista annuncia al Comandante di aver ricevuto un cifrato da Roma che ordinava  di spostarci immediatamente a circa 60 miglia a nord ovest della zona attuale nelle acque di Candia  dovendo colà passare una squadra inglese composta di una portaerei, due navi da battaglia, otto incrociatori e un buon numero tra caccia e torpediniere. Proprio un bel bottino

La missione dunque era stata prolungata di ben altri cinque giorni.

L’indomani mattina alle 7, malgrado si navigasse ad un’andatura di poco superiore alle 5 miglia con l’unico motore che continuava ad arrancare con i soli due cilindri, riuscimmo a raggiungere la zona del possibile contatto col nemico.

Finalmente!

Ci trovavamo ora proprio nel tetro della lotta. Benché zoppicanti eravamo pronti a tutto osare! A mettere tutto il nostro coraggio e tutte le nostre forze contro un nemico agguerrito e di molto superiore a noi per numero e per mezzi.

Ma noi avevamo qualche cosa in più.

Avevamo il vantaggio di essere ITALIANI  e con la fede incrollabile dataci dal Duce eravamo pronti ad eseguire gli ordini senza discutere e dare, se necessario, la nostra vita per la grandezza per la grandezza della nostra bella Italia!

La missione era pericolosa, pericolosissima e quasi impossibile per la menomazione del mezzo. Un sommergibile contro una flotta !

Questo voleva dire arrecare il massimo danno e poi soccombere!

Non ci perdemmo d’animo, anzi,eravamo più che mai superbi ed orgogliosi di scontrarsi con un nemico che da lunghi giorni attendevamo in agguato.

Era l’alba del 1 ottobre, il sole faceva capolino all’orizzonte quando il Comandante diede ordine di immergersi.

Il Berillo si dileguò lentamente nelle profondità marine come un cetaceo che stanco della caccia infruttuosa scompare negli abissi per riposarsi ma sempre pronto a ghermire la preda che inconsapevole del pericolo si avvicina.

Appena sotto i motoristi fermarono l’unico motore in moto.

Ci immergemmo così con un solo motore elettrico. L’altro era in avaria rimanendo ingranato con il motore termico causa la viratrice.

Il motore di dritta era fermo mentre quello di sinistra lo si teneva come nostra unica risorsa per assicurare la vita del battello.

Quando alla sera si emergeva, e durante la giornata si era riusciti a riparare le avarie, si rimaneva immobili, cullati dalle onde mentre ci si riforniva come sempre di aria e corrente elettrica.

I motoristi lavorarono indefessamente tutto il giorno attorno al motore di sinistra che verso sera era stato finalmente riparato.

Appena emergemmo fu subito messo in moto.

Ai nostri orecchi estasiati, il rumore del motore sembrava la  più dolce delle musiche.

Il motore di dritta rimase sempre nelle medesime condizioni ma si iniziò subito a cercare di ripararlo.

Smontammo gli stantuffi per pulire i canali di circolazione dell’olio sulle testate degli stessi.

Verso l’una mi gettai in cuccetta stanco e sporco. Non avevo la possibilità di lavarmi poiché l’acqua era stata razionata sin dal  giorno in cui ricevemmo il cifrato.

Subito mi addormentai di un sonno profondo non immaginando della tragedia che si avvicinava a noi con passi da gigante.

In questi ultimi giorni la vita era diventata un inferno. Lavoravamo tantissimo e riposando solo alcune ore di notte.

Le lunghe ore di immersione giornaliere diventavano vera sofferenza fisica e morale.

La temperatura costante era di 45 gradi e la trasudazione dovuta al cambiamento di temperatura tra l’interno e l’esterno del sommergibile era così notevole che produceva un continuo gocciolare di acqua di condensa che cadendo sui nostri corpi nudi e sudati eccitava maggiormente i nostri nervi già così lungamente provati.

Mai però dalle nostre labbra uscì una imprecazione o un motto di rabbia e di stanchezza. Anzi l’uno guardava l’altro e sui nostri visi sporchi, sudati e coperti dalla folta barba era pronto a spuntare un sorriso. Non era il sorriso dei rassegnati, tutt’altro, Era il sorriso del forte che trova nella sua fede quella forza necessaria per superare qualsiasi ostacolo.

Verso le 2 e mezzo ricevemmo un ordine perentorio: “ Tutti ai posti di combattimento, pronti per la rapida!”

Io che a quell’ora ero già alzato e stavo con i miei compagni a lavorare in sala macchine, mi misi al mio posto di manovra.

Poco dopo udii dall’interfonico gli ordini che il Comandante dava a prua per l’approntamento dei siluri ed aspettavo con ansia che ne comandasse il lancio che non poteva tardare.

Udii infatti un altro ordine. “ Attenzione! Attenzione! Proni al lancio……..siluro numero due attenzione…i!”

Momenti d’ansia indescrivibili. Poi dopo pochi secondi che a me parvero eterni il comando secco e decisivo: “Fuori!…”.

Queste parole si ripercossero nel mio cuore come una voce amica e tanto desiderata.

Ma quella fortuna che da tanto tempo ci era avversa in quel momento ci abbandonò.

IL siluro non uscì perché il lancio elettrico non funzionava, ma i siluristi vigili al loro posto di combattimento vedendo fallito il lancio elettrico attivarono prontamente la manovra a mano.

Il Berillo ricevette una scossa leggera un sussulto che stava ad  indicare che il siluro spinto dall’aria compressa era uscito dal tubo.

L’animo di tutti noi era teso verso un unico obiettivo. Contavamo frementi i secondi ma nulla. Silenzio assoluto…..

Nessuno scoppio nulla di nulla. Intorno a noi si sentiva solo il nostro respiro affannoso

Ma ecco un secondo ordine secco più del primo: “ Silurasti attenzione! Attenzione! Siluro numero uno e numero tre” e quasi istantaneamente: “ Fuori!”………

I due siluri questa volta partirono come bolidi che ruggendo andavano incontro alla sicura preda. Aspettavamo lo scoppio fragoroso cui seguiva la condanna della nave nemica …..ma ancora nulla!

L’ansia, l’aspettativa intensa, i nervi troppo tesi che doloravano fino allo spasimo, i pugni stretti con forza, l’angoscia nel cuore!

Ormai ciò che credevamo sicuro era umanamente impossibile che si avverasse.

Il primo siluro era stato avvistato dal nemico a causa della scia fosforescente che lasciava dietro di sé. Messi quindi in guardia, gli inglesi riuscirono facilmente ad evitare anche gli atri due siluri e puntarono così la prua contro di noi.

Non ci restava altro che fare la rapida e trovare così scampo nella fuga. In pochi secondi ci trovammo a 90 metri e sopra di noi si udiva il rumore delle eliche che furenti si lanciavano alla caccia dell’ormai inoffensivo sommergibile.

Pochi istanti dopo iniziarono le danze.

Un colpo in coperta e poi una forte detonazione. Ci hanno già pescato.

Ora cominceranno la lanciare bombe di profondità finchè non avranno esaurito il loro carico oppure finchè non avranno visto la fine di questo mostro d’acciaio.

Il nemico, dopo pochi secondi dalla prima salva, ritorna alla caccia.

Cinque bombe di profondità esplosero con fragore assordanter sopra le nostre teste, i locali rimasero al buio, la bussola si fermò mentre i telefoni cessarono di funzionare.

Nulla più andava e intanto le bombe continuavano a cadere e aritmicamente a scoppiare in coperta.

A quelle esplosioni il sommergibile si appruava o appioppava raggiungendo la profondità di 180 metri.

Lo scafo a quella profondità scricchiolava, muggiva come un toro ferito, si scuoteva e si appiattiva ma resisteva tenacemente.

Siamo tutti ai nostri posti ai nostri posti.

Nessuno lascia nemmeno minimamente trapelare l’ombra della paura.

Tutti siamo  calmi e fiduciosi  nel Comandante che impassibile impartisce gli ordini.

Il mio capo meccanico ed io eravamo vigili a tutti i manometri, quelli di pressione e quelli di assetto.

La testa mi girava, credevo che da un momento all’altro mi scoppiasse. Avevo il respiro affannoso a causa della forte pressione, gli occhi mi doloravano e non riuscivo a distinguere i numeri indicati dagli strumenti ma mi facevo forza.

Quando ci fu un momento di tregua misi una mano nella tasca dei pantaloncini e presi il portafogli. Ne estrassi le foto dei miei cari e me le strinsi al petto.

Le bombe continuavano a scoppiare sempre più vicine, sempre più forti e rabbiose contro lo scafo che tuttavia sapeva resistere sia alle esplosioni che alla profondità.

Solo le lampadine e i vetri di qualche manometro non resistettero.

Intanto per poter mantenere immerso il sommergibile si faceva spurgare i doppi fondi nell’interno e così, poco a poco, si era allagata la camera di manovra.

Negli appoppamenti e negli appuramenti, l’acqua se ne andava in giro da poppa a prua dovendo tenere aperte le paratie stagne per poter trasmettere gli ordini da un capo all’altro del battello.

L’acqua salsa raggiunse così anche il locale delle batterie. L’incontro conl’acido delle batterie cominciò a sviluppare cloro aggiungendosi così alla nostra sfortuna.

La forte pressione però non gli permetteva di alzarsi.

Sono ormai le 4 e 30, le bombe continuamente ci percuotono, i loro potenti scoppi suonano ai nostri martoriati orecchi come una cantilena di morte.

I nostri timpani, al pari dei nostri nervi, erano messi a dura prova, la pressione si aggirava attorno ai 3 kg e mezzo influendo su di essi facendoci soffrire atrocemente, malgrado tutto ciò  ognuno di noi ha saputo resistere da vero petto d’acciaio.

Un’ altra salva più rabbiosa delle altre fa fermare il motore elettrico di sinistra, sono saltati i massimi.

Il Berillo intanto  non resta mai fermo bensì sale e scende come vuole lui.

Una scarica di bombe storce la linea d’asse dell’elica di dritta, il pressatrecce incomincia, per il forte attrito, a fumare, adesso brucia….

Senza perdermi di animo raggiungo illocale di poppa e comincio a lavorare per eliminare quell’attrito buttandoci sopra acqua per raffreddarlo, ma tutto fu inutile.

Un giovane, anzi un giovanissimo volontario vicino a me  pregava e chiamava in suo aiuto la mamma.

Mamma! Nome sacro che racchiude in se stesso ciò che di più bello e di sublime fu creato!

A questa parola una lacrima sgorgò dal mio ciglio ed il mio cuore che sino a quel momento era rimasto calmo e padrone di sé , fu toccato. Ma fu un semplice istante.

Bisognava essere forti, ancora forti, non lasciarsi sopraffare. Era questo il nostro ultimo dovere.

Ci troviamo ora ad una profondità di circa 110 metri ed in una ben critica situazione e sotto i colpi del nemico che, sicuro della vittoria, ci attacca con tutti i suoi mezzi.

Una salva ci fa scendere a 130 metri in pochi secondi. Poi, lentamente, sempre più giù.

Le macchine non funzionavano, i timoni erano tutti in alto ma non servivano ed il berillo continuava a scendere…….

L’ora era giunta ma tutti si sperava sempre. Siamo a 170 metri e in questo momento il Comandante guarda l’Ufficiale in seconda…….

Quello sguardo voleva dire tutto…….la fine del battello era giunta!…

La nostra residua speranza era svanita.

Sapevamo quale orribile morte ci attendeva ma nessuno di noi imprecava la cattiva sorte.

Stiamo ancora scendendo ed il Comandante, guardando il manometro chiede: “Quanta aria abbiamo?”   Una voce fioca ma decisa risponde: “ Quaranta chilogrammi”….

40 chili di aria. Cosa farne a quella profondità?

Il Comandante ordina comunque di aprirla ed di aspettare.

IL sommergibile però  non smette di scendere e raggiunge i 180 – 190 metri.

Ad un tratto, quando tutti avevamo perso la speranza di risalire si sentì sopra la nostra testa un’esplosione tremenda. La lancetta del  profondimetro si bloccò all’istante!

Gli occhi di tutti sono fissi a guardarla….Nessun movimento…..

Dopo qualche breve istante la si vede oscillare…..si muove    sale!   Sale!

In pochi secondi arriviamo a 100 metri. Ci fermiamo ancora. Acora qualche istante ed il  Berillo cominciò a risalire  portando con sé quel nucleo di persone che come lui erano state sfiorate dalla falce della morte.

Ora non c’è più nulla da fare che emergere ed accettare combattimento.

Le macchine sono ferme e aria non ce n’è più . L’emersione avviene “  a pallone “

Perciò, appena fuori dall’acqua, avviene un forte sbandamento a dritta.

Appena il sommergibile si stava raddrizzando il Comandante ordinò di aprire il portello e che si uscisse per l’armamento al pezzo.

Subito il sergente nocchiere assieme al sergente cannoniere salirono in torretta per aprire il portello che però non fu possibile aprire mancando il volantino.

Mentre il sergente nocchiere grida che gli porgessero un volantino, una cannonata ci colpì a metà torretta.

Il portello saltò in aria e quasi istantaneamente un corpo cadde ai nostri piedi tutto grondante di sangue e con la fronte squarciata.

Alla misera luce della lampadina di sicurezza riconobbi subito per la tenuta che indossava il sergente Maja, mio intimo amico.

MI avvicinai per sollevarlo da terra, lo chiamai invano più volte ma purtroppo il suo cuore era già immobile.

Con profondo dolore lo riadagiai a terra mandandogli con lo sguardo pieno di ammirazione l’estremo commiato della vita.

A metà torretta si trovò con non meno dolore anche il corpo del sergente parodi colpito da una grossa scheggia allo stomaco.

Subito salimmo in coperta per andare all’armamento del cannone, ma appena gli fummo vicini constatammo che era impossibile sparare essendo l’otturatore bloccato ed il portello della riservetta tutto contorto.

L’unica cosa da fare era quella di arrendersi.

Saliti tutti in coperta del sommergibile ci gettammo a mare assistendo così all’ultima immersione del “Berillo”.

 

 

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