L’ULTIMA MISSIONE

DEL REGIO SOMMERGIBILE “BERILLO”

- Dal 18.09 al 02.10.1940 –

Il giorno 18 settembre salutati dagli equipaggi dei sommergibili e navi che facevano ressa sulla banchina, abbiamo lasciato il porto di Augusta alle ore 20,00 per compiere una missione di guerra nelle acque di Alessandria a Sud-Ovest della Turchia.
Si navigò in superficie tutta la notte, ed il giorno seguente ci immergiamo alle ore 11,00 per non essere visti da un apparecchio inglese in ricognizione; alle ore 21,00 si riemerge per il consueto carico di energia ed aria, elementi indispensabili per la vita di bordo, e così riprende la navigazione per la zona stabilita.
Dopo una serie di avarie più o meno gravi che non starò qui ad enunciare, ma che ebbero grave conseguenza per il nostro affondamento, si arrivò nella nostra zona di operazioni il giorno 25 c.m. alle ore 04,00 del mattino.
Ci immergiamo alle ore 06,00 alla profondità di mt. 50, rimanendo in agguato con la scolta idrofonica (questo apparecchio serve per metterci sull’avviso al minimo avvicinarsi di una qualsiasi nave)
Nulla venne a turbarci quel giorno che sembrava carico di minacce e così fu per i giorni successivi, finchè si giunse alla sera del 27 c.m.
Come al solito si emerge alle ore 21,00 per il carico d’aria ed energia e liberare i locali del sommergibile dall’aria impura e gettare a mare i rifiuti del giorno ma, all’ordine di motori in moto, questi non partono…”La vita di bordo è paralizzata, ed il sommergibile non può effettuare durante la notte l’ispezione della vasta zona a noi assegnata”; ci poniamo subito al lavoro e soltanto dopo aver consumato molti kg. d’aria il motore di sinistra va in moto, ma solo a due cilindri, si lavora tutta la notte per eliminare l’avaria, ma ogni nostro sforzo è vano, uno tace ostinatamente e l’altro sembra abbia il raffreddore.
All’alba del 28 c.m. alle ore 06,00 ci immergiamo, rimanendo in agguato a quote variabili, ma nulla venne a confermarci la presenza del nemico in quella zona.
Alle ore 21,00 si riemerge per il consueto carico d’aria ed energia coll’unico motore zoppicante, ogni nostro sforzo fu vano, l’altro motore rimase ostinatamente muto.
Giunse così il 29 c.m. e le nostre condizioni di navigabilità erano pressochè disperate; alle ore 21,30 si riemerge ed il radiotelegrafista capta un messaggio diretto a noi, il cui testo cifrato diceva: “Prolungata missione 5 giorni – stop – zona = ALFA = 60 miglia N.O. zona attuale – stop –
Avvistamento formazioni nemiche rotta N.O. a sud di Candia = stop – Operare in collaborazione coi sommergibili zone 1 – 2 – 3 – 4 – 5 – stop = eventuali informazioni da Super Marina ore X = stop = Super Marina ore 0,01 – per conoscenza a tutte le navi in rotta per il Mediterraneo Orientale =”
Il testo del cablogramma spiegava la formazione nemica, composta da:
n° 1 corazzata, n° 1 portaerei, n° 5 incrociatori e n° 19 caccia.
L’indomani mattina alle ore 07,00, malgrado avessimo navigato ad un’andatura di poco superiore alle 5 miglia, siamo nella nuova zona destinataci.
Finalmente ci troviamo nel teatro della lotta, siamo pronti a tutto, osare e provare il nostro coraggio e la nostra forza contro un nemico agguerrito e di molto superiore a noi per numero e mezzi.
La nostra missione è più che pericolosa, ma non ci perdiamo di coraggio, siamo fieri di incontrarci con gli inglesi che da molti giorni attendevamo.
Più che mai lavoriamo per la riparazione del motore, che in caso di attacco è un elemento principale per allontanarsi.
A noi motoristi si uniscono anche gli elettricisti, i lavori proseguono alacremente ed alla sera, alla emersione, i nostri sforzi sono coronati dal successo, il motore va in moto; siamo tutti col fiato corto ed un po’ emozionati al sentire di nuovo la voce rombante di quel mostro d’acciaio.
All’alba del 1° ottobre, quando quasi il sole faceva capolino all’orizzonte, ci inabissiamo, come fa il cetaceo che, stanco della caccia infruttuosa, scompare negli abissi marini per riposarsi, ma sempre pronto e vigile ad assalire la preda che incauta si avvicina.
Restiamo in agguato tutta la giornata, scrutando l’orizzonte col periscopio, senza però scorgere la presenza di navi nemiche sotto i raggi dorati del sole sul mare calmo.
Durante le ore di immersione, che in media erano di 15, la vita di bordo è tranquilla e silente, si odono i più piccoli rumori dei congegni in funzione e qualche ordine che il Comandante trasmette all’interfonico; durante queste ore, ogni rumore era vietato e parlare ancor di più, ognuno di noi si siede in un angolino a dormire o a leggere, ma la maggior parte delle volte ci scambiamo le foto da vedere.
Alle ore 21,00 precise, emergiamo per caricare quello che si era consumato durante la giornata.
All’ordine di mettere in moto, la pompa dell’olio va in avaria, gli elettricisti, dopo un lavoro lungo e faticoso in un angolo ristretto e coi pochi mezzi di bordo, riescono a ripararla.
Noi lavoriamo ora sul motore di sinistra per cercare di farlo funzionare a dovere; a quest’ora, l’01,00 di notte, vado a gettarmi in cuccetta per riposarmi un po’, dopo circa 60 ore di veglia al lavoro.
“Il mio posto viene occupato dal Fuochista Barcaro Giovanni”, sono tutto unto e sporco di nafta, senza possibilità di potermi lavare, essendo l’acqua scarsa e razionata.
Mi addormento di un sonno profondo, sognando i bei giorni di licenza che avrei fatto a missione ultimata, non immaginando la tragedia che a passi di gigante si avvicinava.
In quegl’ultimi giorni, la vita era diventata molto dura per il continuo lavoro e le lunghe ore d’immersione, erano una vera sofferenza per noi.
La temperatura costante nei locali era di circa 50° e la trasudazione nell’interno dei locali era così notevole da produrre un gocciolio continuo che cadeva sui nostri corpi ignudi e sudati, eccitando i nostri nervi messi duramente alla prova.
Mai dalle nostre labbra uscì una parola di stanchezza, l’uno guardava l’altro e sul viso sporco e coperto dalla folta barba, era pronto a spuntare un sorriso, un sorriso non del rassegnato, ma del forte che trova nella sua fede quella forza necessaria per superare qualsiasi ostacolo.
Le 03,00 ore di notte, avvistiamo il nemico, viene trasmesso l’ordine:
“Tutti al posto di combattimento”.
Mi ero già alzato dopo 4 ore di sonno e mi portai al mio posto di manovra in macchina.
Udivo il Comandante dare ordini e fra l’altro quello di preparare i siluri.
Aspettavamo con ansia che il bersaglio fosse in angolo <<ALFA>> per poter lanciare.
I secondi sembravano interminabili; alfine udii il Comandante dare un ordine secco:
“Attenzione, Attenzione, pronti per il lancio n° 2, Attenzione”.
Momenti di ansia indescrivibile, seguì breve un altro ordine decisivo: “FUORI”…siamo tutti tesi verso quell’obiettivo a noi invisibile.
Passano i secondi e nulla viene a confermarci che il bersaglio è stato colpito, ma quella fortuna che da molto tempo ci è avversa, anche in quel disperato momento ci abbandonò.
Il siluro non uscì dal tubo di lancio per un’avaria al lancio elettrico, ma i silurasti che vigili al loro posto di combattimento, espulsero il siluro mediante manovra a mano; udiamo tutti il siluro partire per il leggero movimento sussultorio che il siluro imprime al sommergibile all’atto del via.
Attendiamo con ansia lo scoppio, contiamo frementi i secondi, ma il tanto desiderato scoppio non si fece udire.
Nei locali non c’è che il silenzio di tomba, rotto soltanto dal nostro respiro affannoso.
Pochi secondi dopo, altri due siluri sono lanciati, che raggianti vanno incontro al nemico, ma anche questa volta il colpo fallì.
Il primo siluro è stato avvistato, il nemico, messo sull’avviso, riesce facile evitare anche gli altri due e così noi siamo scoperti ed inseguiti.
Non ci rimane altro che trovare scampo nella fuga; in 32 secondi siamo a 90 mt.; sopra noi girano vorticosamente le eliche del nemico che, furente, si lancia alla caccia del nostro sommergibile.
Una forte detonazione, seguita da altre 4, si ode sopra la nostra coperta, il nemico è già sulla nostra traccia e con le bombe ce lo conferma.
Ognuno è al proprio posto, nessuno lasciò anche minimamente trapelare l’ombra della paura, siamo calmi e sereni, fiduciosi nel Comandante che impassibile trasmette gli ordini.
Il nemico ritorna alla carica, altre 5 bombe esplodono sopra la nostra coperta, lo scafo si contorce ma resiste alla pressione, i locali sono tutti al buio, si ricorre ai fanali di sicurezza.
Siamo ad una profondità superiore ai 100 metri, il battello a mala pena si comanda, causa i forti sobbalzi per le esplosioni delle bombe che aritmicamente si succedono come una cantilena di morte.
L’idrofonista informa minutamente il Comandante dell’avvicinarsi del nemico che insistente non vuole abbandonare la preda ormai ferita
Per evitare di dare una più precisa posizione al nemico, siamo costretti a sfogare i DD.FF.(doppi fondi) nell’interno e così la pressione aumenta fin verso i 3 kg.; siamo come schiacciati dall’aria ed i nostri timpani resistono a malapena, ed i comandi arrivano affievoliti.
Nel frattempo sono andato nella camera di lancio a poppa e con altri compagni giunti cerchiamo di equilibrare il battello da un forte appuramento.
Le bombe cadono ritmicamente, mettendo a dura prova la resistenza dello scafo
Una bomba ci colpì l’asse motore di sinistra ed il motore si rese inservibile, l’acqua incominciò ad entrare, mettendoci in serio pericolo; anche il motore di dritta si dovette fermarlo per evitare qualche pericoloso circuito a danno di tutti noi.
La nostra situazione era ben critica, la profondità variava dai 120 metri ai 130 e sotto i colpi del nemico che, sicuro della vittoria, ci attaccava con tutti i mezzi.
Il battello appesantito dall’acqua che entrava, continuava a scendere dai 130 metri in giù.
Cominciamo ad abbandonare ogni speranza di salvarci, ognuno immagina quale orribile morte ci tocchi, ma nessuno maledice la cattiva stella.
Sono sdraiato sulla mia cuccetta, al mio fianco c’è il “Motorista Petrolini Lores”, un caro amico, ci guardiamo negli occhi e le nostre mani si stringono come a dirci <<ci rivedremo>>.
Gli altri compagni, anch’essi sdraiati, aspettavano la stessa mia fine.
Un giovane vicino a me, invoca la mamma, sottovoce; quella cara donna che forse non avremmo più visto.
Il mio cuore, sino a quel momento fermo, cominciò a battere ed una lacrima tentò di uscire, ma con uno sforzo supremo ricacciai tutto indietro; bisogna essere ancora forti e soprattutto non lasciarsi sopraffare da ricordi dolorosi, è questo il nostro ultimo dovere che ci viene imposto.
Intanto continuiamo a scendere, si raggiungono così i 170 metri, quasi il doppio del massimo prescritto, che per il nostro battello era di 90 metri.
Non c’è più scampo per noi, avendo esaurito in precedenti manovre quasi tutta la riserva d’aria.
Ora siamo fermi, il battello è tutto piegato su un fianco per l’acqua che è entrata, intorno si vede ammassi di rottami di ogni sorta, rotti per lo scoppio delle bombe.
Siamo fermi da qualche secondo, sembra perfino che si sale, ma è un’illusione nostra, siamo così eccitati che nessuno crede al miracolo, ma effettivamente si sale, molto lentamente, man mano aumenta la velocità di salita.
Il nemico non si ode più,forse se n’è andato.
Intanto raggiungiamo la superficie e per un forte sbandamento andiamo tutti colle gambe all’aria; comincia a prodursi il cloro, per effetto dell’entrata dell’acqua di mare nelle batterie ed i piedi cominciano a bruciare e si sentono pure i sintomi del gas asfissiante.
Dalla camera di comando, salgono per aprire i portelli, ma tutte le chiavette sono uscite e non si possono aprire; comincia a prodursi un po’ di confusione e ressa per poter uscire.
Il Comandante esortava alla calma, mentre due sergenti lavoravano per aprire i portelli.
Il nemico, che ancora era vigile, appena visto che il sommergibile era fermo in superficie, cominciò a sparare col cannone, ed un colpo fu centrato in piena torretta; i due sergenti colpiti in pieno, giacquero inanimi ai nostri piedi; siamo paralizzati dal dolore, ma non abbiamo il tempo di pensarci, perché la gente cominciava a salire.
Salii anch’io dallo squarcio prodotto dalla cannonata e quando sono in coperta, vedo le navi che si avvicinano per catturarci.
Il Comandante gridò: “Si salvi chi può”… un tuffo e siamo in mare, ognuno nuota dove può, ed anche io mi dirigo verso un caccia che appena distinguo.
Non ero che a 20 metri dal battello, quando lo vidi inabissarsi; mi sentii stringere il cuore al veder la mia nave morire e portandosi con sé due cari compagni che per la causa hanno dato la vita.
Cinque ore dopo fui raccolto da una scialuppa con altri compagni; siamo salvi, ma un più brutto destino ci riserva l’avvenire.
Alla sera seguente, sbarchiamo ad Alessandria con una scorta di sentinelle armate che ci portano in un piccolo campo, dove inizierà il calvario.

(02 – 10 – 1940)

In fede
M.N.
Civetta Gian Battista

RAMGARH (INDIA) 22 – 05 – 1941

MOTIVAZIONE DELLA MEDAGLIA DI BRONZO AL VALORE MILITARE
CONFERITA AL MOTORISTA NAVALE – 49340

CIVETTA GIOVANNI di ALFREDO

“Imbarcato su sommergibile durante impari combattimento
contro due siluranti avversarie, si prodigava nella riparazione
di un motore termico in avaria, sotto la violenta prolungata
caccia nemica, desisteva dal suo lavoro solo quando per
l’imminente affondamento, ne riceveva esplicito ordine.
Salito in coperta affrontava impavido il ravvicinato tiro delle
navi avversarie, dando prova, nelle difficili circostanze,
della massima calma e del più sereno coraggio.”

(Mediterraneo Centrale, 2 ottobre 1940)