Regio Sommergibile Medusa

Classe "600" serie "Argonauta"

 

 

Inizialmente basato a Cagliari (VII Gruppo, 72a Squadriglia), nel corso del conflitto effettuò 10 missioni di guerra senza però ottenere alcun successo.
Per ragioni di anzianità nel marzo 1941 venne assegnato al XI Gruppo della Scuola Sommergibili di Pola. Venne affondato con quasi tutto l'equipaggio (58 vittime su 60) il 30 gennaio 1942 al largo di Pola al rientro da una missione di addestramento nelle acque del Quarnaro dal HMS Thorn del comandante R.G. Norfolk che due giorni prima aveva colato a picco la cisterna Ninuccia di 4.583 tsl.
Il Medusa scomparve alle ore 14,10 del 30 gennaio del ’42 in seguito all’attacco condotto dal sottomarino britannico Thorn che da giorni si trovava in agguato al largo della base navale di Pola. Il giorno dell’affondamento, il sommergibile italiano, al comando del capitano di corvetta Enrico Bertarelli, si trovava in mare per prove tecniche.
Secondo le testimonianze dei due soli sopravvissuti all’affondamento, l’unità - che aveva a bordo sette ufficiali (compreso il comandante), otto sottufficiali e 43 marinai - navigava in superficie e a lento moto quando venne fatta oggetto dell’improvviso attacco del Thorn che le lanciò contro quattro siluri. Come ebbe modo di raccontare il guardiamarina Fei (il quale, dopo essere stato raccolto da una vedetta di soccorso, morirà nell’ospedale di Pola in seguito alle ferite riportate) “il mare era tranquillo e la navigazione procedeva senza problemi quando dalla torre, sulla quale mi trovavo con il capitano Bertarelli e altri cinque ufficiali, scorgemmo le scie di quattro siluri…Con prontezza, il comandante riuscì a manovrare evitandone tre, ma il quarto ci centrò in pieno”. Secondo Fei, il Thorn lanciò i suoi ordigni da una distanza di circa mille metri, dopo avere effettuato una rapida emersione. Colpita la preda, l’unità inglese si immerse poi rapidamente, allontanandosi dalla zona. Sempre secondo la testimonianza del superstite, l’esplosione fu violentissima e tale da squarciare buona parte della fiancata del battello italiano che nel breve volgere di una decina di minuti sprofondò trascinando con sé la quasi totalità del suo equipaggio.
Come riportato dal libro di Teucle Meneghini “Cento sommergibili non sono tornati”, il capitano Bertarelli (che in precedenza si era distinto in Atlantico quando era al comando del sommergibile Baracca) non pensò a sé, nonostante fosse stato ferito al volto e sanguinasse copiosamente, ma cercò di salvare i suoi uomini: un gesto eroico che gli costò però la vita, in quanto scomparve nei flutti assieme alla sua nave. Vani risultarono i tentativi condotti da alcune navi di soccorso italiane che giunsero sul posto quando il Medusa era ormai affondato. Nel disperato tentativo di salvare l’equipaggio rimasto intrappolato all’interno dello scafo, i palombari di un pontone salpato da Pola eseguirono numerose immersioni, purtroppo senza risultato.
In precedenza Bertarelli era stato comandante del smg Baracca ottenendo in Atlantico 2 successi per 8.553 tons: 1 ottobre 1940, Aghios Nicolaos, grecia 3687 tons, 18 novembre 1940, Lilian Moller, gran bretagna, 4866 tons

Specifiche Tecniche

Lungo 61,50 metri e largo 5,65, il Medusa dislocava (in superficie) 650 tonnellate e 810 in immersione. Mosso da due motori diesel e da due propulsori elettrici da 1.500 e 800 cavalli, l’unità era in grado di raggiungere 14 nodi in superficie e 8 in immersione. Dotato di un’autonomia di 4.900 miglia a 9,5 nodi (in superficie), il Medusa era armato con un cannone da 102 mm. prodiero; 2 mitragliere da 13,2 mm. e sei tubi lanciasiluri. L’equipaggio dell’unità era di 4 ufficiali e 40 marinai.


Personale Caduto - 30-01-1942
Cognome , Nome , Grado

Agricola , Salvatore - Comune
Amadei , Alberto - Comune
Antetomaso , Cosimo - Comune
Arezzo della Targia , Gaetano - Tenente di Vascello
Arrighini , Giuseppe - Comune
Ausenda , Giovanni - Comune
Baldassarki , Noemio - Sottocapo
Balestrino , Luigi - Sottocapo
Basile , Mario - Sottocapo
Bertarelli , Enrico - Capitano di Corvetta
Bueti , Rosario - Comune
Capra , Arturo - Comune
Caroselli , Ferdinando - Capo di 2a Classe
Caroselli , Teodoro - Capo di 3a Classe
Cavicchioli , Giulio - Comune
Ciliberti , Marcello - Comune
Cinotti , Felice - Capoi il 3a Classe
Colombakoli , Isaia - Comune
Congiu , Paolo - Sottocapo
Corrado , Oronzo - Capo di 2a Classe
Cosmina , Francesco - Comune
Cusenza , Alberto - Sottocapo
Del Giusto , Emanuele - Comune
Del Monte , Luigi - Sottotenente di Vascello
Della Ventura , Ciro - Sottocapo
Di Tommaso , Giuseppe - Sottocapo
Fei , Arturo - Guadiamarina
Furlan , Paolo - Capo di 2a Classe
Garosi , Pietro - Sottocapo
Gerardi , Raffaele - Sottocapo
Giaquinto , Umberto - Sottocapo
Giobbo , Eduardo - Capo di 2a Classe
Graziano , Vincenzo - Comune
Guida , Gastone - Tenente di Vascello
Jannaccone , Mario - Comune
Lavaroni , Renato - Comune
Leone , Gaetano - Sottocapo
Lupidi , Silvano - Capitano G.N.
Manetti , Pierluigi - Comune
Mazzavillani , Giuseppe - Comune
Meazza , Luigi - Comune
Migliore , Carmelo - Sottocapo
Morando , Demetrio - Comune
Oliva , Alberto - Sottocapo
Pavera , Gelso - Comune
Perieli , Dario - Comune
Periz , Bruno - Comune
Quintavalle , Cesare - Aspirante
Renna , Carlo - Comune
Rossebastiano , Aldo - Comune
Saviano , Antonio - Comune
Scarioni , Augusto - Sottocapo
Sgrilli , Giovanni - Sottocapo
Trovato , Francesco - Comune
Tuosto , Gerardo - Sottocapo
Valentini , Carlo - Sottocapo
Vatteroni , Riccardo - Capo di 3a Classe
Rossebastiano , Aldo - Comune
Saviano , Antonio - Comune
Scarioni , Augusto - Sottocapo
Sgrilli , Giovanni - Sottocapo
Trovato , Francesco - Comune
Tuosto , Gerardo - Sottocapo
Valentini , Carlo - Sottocapo
Vatteroni , Riccardo - Capo di 3a Classe

Onore a Loro

 

Il secondo "Medusa"

… della nostra storia apparteneva alla classe 600 (serie Argonauta 2°), una classe di sommergibili certamente ben progettata. Fu varato il 10 dicembre 1931 dai Cantieri Riuniti dell'Adriatico di Monfalcone ed entrò in servizio nella Regia Marina italiana 18 ottobre 1932. Operò prima dalla base di Messina e poi,dal 1939 da quella di Cagliari. Quando fu dichiarata la Seconda Guerra Mondiale, fece subito un agguato inconcludente fuori dal Porto di Ajaccio. Nel settembre 1940 era fuori dal Porto di Philippeville, dove venne attaccato da un Sunderiand, un grosso idrovolante inglese. L' aereo fu colpito dal "Medusa" e fu visto allontanarsi in fiamme. Comandante del sommergibile, in quel momento, era il capitano di corvetta Enzo Grossi, che in Atlantico affondò due corazzate americane, tanto che per questo ricevette due medaglie d'oro che alla fine del conflitto fu costretto a restituire. Comunque, il nostro battello fece diverse missioni lungo le coste algerine, ma sempre senza risultati l' 11 5 marzo 1941 venne dislocato a Pola, dove operò a disposizione della Scuola Sommergibili e in agguati antisommergibili fatti a sud di Punta Maestra, nel Quarnaro, e a ponente dell'isola di Cherso.
Il 30 gennaio 1942, il "Medusa" stava rientrando dal Golfo del Quarnaro dopo aver compiuto esercitazioni nello specchio d'acqua fra l'istria e l'isola di Cherso, denominato Zona 5, assieme ai piroscafi "Grado", "Mameli" e alla torpediniera "insidioso". Al comando c'era il capitano di corvetta Enrico Bertarelli e a bordo vi erano sessantadue uomini: oltre al solito equipaggio, c'erano sei ufficiali e ventuno sottocapi e comuni della Scuola Sommergibilisti di Pola.
Alle 13,40 il sommergibile"Medusa" venne avvistato dal piroscafo "Carlo Zeno",il cui comandante, Umberto Curci, scrisse sul giornale di bordo quanto accadde quel giorno: 'Alle 13,55 dal traverso di Capo Merlera dirigo per l'isolotto Fenera. Ero da pochi minuti disceso nella
mia cabina quando, alle 14,05. il primo ufficiale rimasto di guardia sul ponte si precipitava ad avvertirmi che il sommergibile che ci precedeva in quel momento a una distanza di mg. 1,5 circa era saltato in aria nel turbine di una enorme colonna d'acqua e rottami scomparendo in pochi istanti dalla superficie, presumibilmente a causa diuna violenta esplosione, non udita forse a ragione del mare e del vento sempre teso da NE".
Il comandante Curci fece immediatamente forzare le macchine per raggiungere il luogo del sinistro, che raggiunse alle 14, 15, guidato da una larga chiazza di nafta e da un gavitello nero. Giunto esattamente sul posto dell'affondamento notò che in acqua c'erano alcuni naufraghi. Fece immediatamente ammainare la lancia numero uno, che raccolse cinque uomini, dei quali tre erano feriti e due morti.
Mentre il "Carlo Zeno" rientrava in porto, sul posto (latitudine 44°45' N e longitudine13'36' E) giunsero il piroscafo "Grado", la torpediniera "Insidioso" e un altro sommergibile della scuola, il "Goffredo Mameli". Il gavitello nero che galleggiava era la boa telefonica del "Medusa", attraverso la quale i soccorritori riuscirono a mettersi in comunicazione con i superstiti a bordo del battello, che giaceva a circa 30 metri diprofondità e a meno di mille metri dall'isolotto Fenera. A parlare per primo fu il capo silurista Zatteroni, il quale riferì sulla situazione: all' interno del locale di poppa c'erano quattordici uomini, mentre il locale contiguo, quello dei motori termici, era certamente allagato poiché da sotto la porta stagna filtravano qua e là leggere infiltrazioni d'acqua; inoltre, mancava la luce e la respirazione diveniva via via più pesante. In seguito, si seppe che il"Medusa" era stato silurato da un sommergibile britannico, l"HMS Thorn".
Dopo essere stata avvertita, la di Marina Pola aveva fatto subito preparare i due pontoni ormeggiati in porto (G.A. 141e G.A. 146) e aveva richiestoa Marina Venezia due rimorchiatori di elevata potenza per rimorchiarli. Purtroppo il mare aveva iniziato ad alzarsi.
Mentre giungeva in zona il sommergibile "Otaria", arrivò anche il battello dei palombari, i quali, senza perdere tempo, alle 19,40 riuscirono a calarsi sullo scafo affondato. Lo trovarono appoggiato sul fianco destro, sbandato di novanta gradi,con un ampio squarcio al centro e in corrispondenza della torre, che appariva quasi strappata, e con la garitta di poppa allagata. Mentre in superficie il vento rinforzava ancora, sotto la superficie del mare i palombari incontravano grossi problemi nel loro lavoro a causa dell'oscurità, delle lamiere contorte dall'esplosione e di una fortissima corrente che ostacolava i loro spostamenti verso la poppa, proprio dove erano rinchiusi gli uomini ancora vivi. Alle 00,30 del 31 gennaio, i palombari riuscirono ad allacciare allo scafo affondato le manichette messe in mare dall"Otaria", che nel frattempo era riuscito a portarsi sulla verticale del relitto. Alle ore 01,20, dentro la camera di poppa del "Medusa" cominciò ad affluire aria fresca. Ma verso le 01,30 il mare e il vento crebbero ancora d'intensità, il cavo telefonico si strappò e fu obbligatorio recuperare i palombari.
Trascorse la notte e al mattino, alle 07,30, i palombari fecero una nuova immersione. Si avvicinarono allo scafo ebatterono dei colpi contro lelamiere del battello: in
corrispondenza della camera di poppa si ebbero vivaci e ripetute risposte, mentre in corrispondenza della camera di lancio dei siluri tutto tacque.
Intanto era giunto il grosso pontone GA. 141, per cui si decise di sollevare la parte poppiera. Ma il mare agitato ne impedì l'imbragatura. La malasorte si accaniva contro il "Medusa" e il suo equipaggio. Nel pomeriggio lo stato del mare e del vento peggiorarono ulteriormente, al punto che il naviglio di soccorso minore fu costretto a rifugiarsi nelle insenature di Capo Promontore. E alla mattina del primo febbraio1942 il tempo si aggravò. Il pontone di sollevamento dovette essere allontanato poiché, cadendo, avrebbe potuto troncare i tubi dell'aria che collegavano il sommergibile "Otaria" al "Medusa". Mentre il pontone veniva trainato in una baia riparata, la tragedia si consumò completamente. Lancora dell-Otaria" cominciò ad arare il fondo e alle 19,00 il sommergibile si traversò al mare. Le manichette che portavano l'aria allo scafo affondato si ruppero e il comandante dell"Otaria", il capitano di corvetta Emilio Berengan, fu costretto a dare l'ordine di abbandonare i compagni del "Medusa" per rientrare a Pola. Nei giorni 2 e 3 febbraio le condizioni del mare furono impossibili e soltanto il giorno 4 i mezzi di soccorso riuscirono a tornare sul luogo del sinistro e a calare nuovamente i palombari, i quali poterono soltanto constatare che dall'interno del sommergibile "Medusa" non proveniva più alcun segno di vita.
Sul recupero del regio sommergibile "Medusa" non è stato possibile e saminare il rapporto della Regia Marina;è stata però trovata, presso l'Ufficio Storico della Marina Militare, una pratica del 28 luglio 1943 che ha come oggetto "Recupero salme dal Regio Sommergibile Medusa" (protocollo 36.008), che chiarisce quanto venne fatto dopo il mese di febbraio 1942. Negli incartamenti viene infatti confermato che il 15 giugno 1943 furono ultimati i lavori di recupero della prua e della poppa del
"Medusa" e che, alla presenza di un ufficiale medico, di un cappellano e una squadradi infermieri, erano state recuperate le salme dei marinai, tumulate nel cimitero di Pola.
Gli storici, compresa la Marina, hanno sempre affermato che, dopo aver estratto le salme, i due tronconi del "Medusa" furono demoliti. Ma Giovanni Alban, nella sua immersione davanti a Pola, aveva visto che sul fondo c'era la metà di un sommergibile, sicuramente italiano per via dei motori che montava. E l'unico sottomarino italiano perduto in quelle acque, oltre ai due "Medusa", era il "Pullino", di cui però esistono alcune foto che lo mostrano nel cantiere di demolizione. Quella da noi individuata, perciò, doveva essere la poppa di uno dei due "Medusa". Quasi certamente di quello più recente. Ma bisognava avere una conferma, perché ufficialmente entrambi i sottomarini risultavano recuperati.
Caparbiamente, Giovanni ha passato diversi giorni nei vicoli del porto di Pola e ha parlato con tutte le persone anziane che gli davano retta. Alla fine, in un'osteria, un vecchio pescatore, che nel 1942 aveva 14 anni, ha raccontato cosa effettivamente successe:
«Prima - ha detto - fu recuperato un pezzo grande del "Medusa". Il pontone lo portò in porto, lo scaricò sulla banchina e furono recuperati i corpi di molti uomini. Poi venne recuperata la poppa del sommergibile, e anche da lì furono recuperati i corpi dei marinai morti. Ma quando il pontone, trainato dai rimorchiatori, era già vicino al porto, subito fuori la diga foranea, per un'errata manovra la poppa del "Medusa" scivolò in mare, e là, a Punta Verudella, è rimasta. I morti erano stati recuperati, la guerra andava già male, tante navi venivano affondate e danneggiate. I palombari avevano altro da fare e lo sfortunato sommergibile fu dimenticato.
A volte, nquella zona, rimangono nelle reti pezzi di ferro irriconoscibili con scritte in italiano e allora ci tornano in mente i poveri ragazzi del "Medusa"sepolti vicino ai marinai austriaci morti con l'affondamento della "Szent lstvan".

L' immersione della scoperta

E' Giovanni Alban che racconta: (Scendiamo lungo la cima fissata allo scafo del sommergibile, la visibilità è molto scarsa, al massimo di due metri. A 40 metri di profondità il fondo è fangoso e ci spostiamo con una certa fatica per la presenza di una discreta corrente. Inoltre,dobbiamo limitare al massimo i movimenti per non alzare fango con le pinne, altrimenti la già scarsa visibilità si ridurrebbe ulteriormente. Dalle rotondità delle lamiere è evidente che lo scafo affondato è quello di un sommergibile; su un lato c'è uno squarcio e possiamo vedere due motori, disposti in parallelo. Le valvole e i bilancieri sono evidenti, vediamo delle scritte. Tra i motori ci sono due giganteschi astici, mentre un branco di merluzzi cerca di mimetizzarsi con le incrostazioni. Ci sono anche numerosi scorfani, un polipo e un grosso grongo; ovunque, numerosissime spugne gialle, ricoperte da un velo di fango. Il tempo passa velocemente e presto dobbiamo risalire.
«Nel pomeriggio, giriamo le osterie e incontriamo un vecchio che ci conferma che quello che abbiamo visto è un pezzo del sommergibile italiano "Medusa", quello della Seconda Guerra Mondiale. Così, il giorno seguente, facciamo un'altra immersione. Leghiamo la barca alla boa galleggiante messa da un diving locale, e ancorata direttamente al relitto, e scendiamo velocemente. La visibilità è, come al solito, molto scarsa; vediamo quella che sembra la piccola piattaforma di un cannone, oppure un grosso boccaporto chiuso;sui lati dello scafo ci sono del le feritoie per l'espulsione dell'acqua dalle casse durante le emersioni. Ovunque,nel fango, dentro lo scafo, proiettili da 102 millimetri. Quello che rimane del sommergibile ha una lunghezza di circa 25 metri e un diametro di metri 5,60. I due motori sono molto simili e uno ha certamente il marchio della Fiat. Vediamo anche un motore elettrico, che ci sembramarcato Skoda.
((Quando rientriamo al diving, il gestore della carica delle bombole, un certo Denis, interviene nei nostri discorsi, e conferma quanto ormai già sappiamo, e cioé che nel 1943 un pontone trainato da un rimorchiatore lavorò al recupero di un sommergibile italiano. Lo sollevò dal fondale, ma, mentre lo trasportava a Pola, il sommergibile,
ormai vecchio e ricoperto di ruggine e vegetazione, perse la poppa, che affondò presso Punta Verudela, a una profondità di circa 40 metri».
Dopo la guerra, le autorità jugoslave decisero di non recuperare quanto rimaneva del relitto del sommergibile. Dopo tutto, non valeva la pena spendere altri soldi per un po' di ferro.
Pietro Faggioli e Giovanni Alban
(Per lo storia dei Medusa si ringraziano Dando Pellegrini e Pierpoolo Zagnoni)

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