Regio Sommergibile F 14
Agonia e morte di un Sommergibile
Lo scenario è il tratto di mare davanti a San Giovanni in Pelago (Pola), qui, la mattina del 6 agosto si stava svolgendo un’esercitazione che vedeva impegnata una flottiglia di superficie, composta da alcuni cacciatorpediniere e siluranti, tra cui il Giuseppe Missori, varata dai Cantieri Odero di Sestri Ponente il 20.12.1915, (avrà anche vita lunga: sopravviverà infatti al conflitto 1940-1945 finendo autoaffondato dai tedeschi a Trieste solo nel maggio 1945), e da due sommergibili: l’F14 e l’F15.
Dal “Bollettino d’Archivio” apprendiamo che “Il sommergibile costiero F 14. era un battello per impiego costiero, progettato dall’ingegner Cesare Laurenti e dalla Fiat San Giorgio verso l'inizio della prima guerra mondiale. Derivava dalla classe "Medusa", e si rivelò tra i migliori della categoria, suscitando l'interesse tecnico e commerciale di diverse Marine straniere. Questi piccoli battelli (262 t in emersione e 319 in immersione) risultarono ottime unità, essendo dotate di grande stabilità in quota e di buona autonomia.
La profondità di collaudo, grazie alla robustezza strutturale del doppio scafo, arrivò a 45 m. mentre l'ampliamento della torretta consentiva migliori condizioni di servizio in plancia durante la navigazione in superficie. Altre innovazioni di rilievo furono - oltre all'accresciuta potenza motrice diesel (due motori a 6 cilindri da 350 hp cadauno) ed elettrica (due motori da 250 hp cad.) — una maggiore rapidità d'immersione, l'adozione di due periscopi d’azione e d'attacco), della bussola giroscopica e di un segnalatore (tipo Fessenden), con portata di circa 5 miglia. Anche l'aggiunta, ai due tubi di lancio prodieri da 450 mm, di un cannone contraereo e antinave da 76/30, contribuì a conferire a questi battelli eccellenti attitudini operative in acque ristrette e con probabilità di forte contrasto, zone dov'erano appunto destinati a operare.
L’F14 - appartenente al Gruppo dei sommergibili destinato all'istruzione pratica degli allievi Motoristi navali - comandato dal capitano di corvetta Isidoro Wiel, era uscito il mattino del 6 agosto da Pola, insieme all’F 15, per un'esercitazione di attacco all’esploratore Brindisi. Che, dopo essersi riunito a ponente di Parenzo con la 5^ Flottiglia Cacciatorpediniere, procedeva per Pola con le due squadriglie di caccia in posizione di scorta.
Il tempo era chiaro, il mare mosso con tendenza ad ingrossare, perché il vento (improvvisamente saltato da Grecale a Scirocco) tendeva ad aumentare. La Divisione aveva già subito l'attacco dell'F 15 (emerso regolarmente nel punto in cui aveva eseguito il lancio simulato e ora dirigeva per il punto di previsto agguato del secondo sommergibile, con i due esploratori nella colonna centrale e le due squadriglie dei cacciatorpediniere in linea di fila sulle due colonne laterali...
…Alle ore 8,40. in un punto circa 7 miglia a ponente di San Giovanni in Pelago, in fondali di 45/50 metri l’Abba, capo squadriglia di dritta, segnalava: "Sommergibile a dritta al traverso". Il Comandante del caccia dopo aver alza lo il segnale di avvistamento, cercava di scorgere il battello nella probabile direzione di attacco, ma la sua attenzione era richiamata su un periscopio che, a pochi metri dal bordo sulla dritta, circa al centro del caccia, scadeva rapidamente verso poppa.
Sul Missori - che seguiva l’Abba in linea di fila - dove l’attenzione era rivolta verso la dritta, e cioè verso la probabile zona di attacco, il sommergibile non fu avvistato se non quando esso ebbe scapolato la poppa dell’Abba nella scia di questo, a una distanza di circa 180-160 m. Solo allora il comandante del Missori scorse il periscopio, fece mettere il timone a dritta e invertì il moto delle due macchine alla massima forza. II sommergibile intanto era quasi fermo, e l’accostata a dritta, che risultò essere stata tentata dal suo comandante mentre stava ancora emergendo, non ebbe in pratica alcun effetto, forse perché non coadiuvata da un pronto e rapido aumento di velocità che avrebbe potuto portarlo, attraversando più rapidamente la linea dei cacciatorpediniere, a coadiuvare la manovra del Missori. Questo, nonostante l’accostata e la rapida diminuzione di abbrivo, investiva l’F14 quasi normalmente, poco a poppavia del boccaporto poppiero. Come tutti poterono allora vedere - il sommergibile sbandava sulla dritta, in conseguenza dell'urto, quindi, fortemente appoppato, affondava, sollevando in alto la prora sino a mostrare i tubi di lancio. L’investimento aveva prodotto nel primo locale accumulatori elettrici di poppa (il n. 6) uno squarcio di 60 x 25 cm. che ledeva la parte superiore dello scafo resistente.La silurante Missori che speronò l'F14
II cacciatorpediniere Cairoli veniva inviato a richiamare sul posto l’F15, che stava rientrando a Pola; intanto le unità della Divisione, fermate le macchine e messe in mare non senza difficoltà le imbarcazioni, affondavano segnali sul luogo dove erano state viste prima grosse bolle d'aria, poi macchie di nafta. Il Brindisi si ancorava e preparava la lancia con palombaro e una sciabica, mentre - dando notizia dell’accaduto alle Autorità - richiedeva a Pola e a Venezia l’immediato invio di palombari e di pontoni per sollevamento.
Vedremo poi come siano andate le cose a Pola, ma possiamo fin da ora anticipare che esse andarono piuttosto male Sebbene, infatti, il grosso pontone del porto per un caso fortunato fosse già "in piccolo alimento", esso uscì in mare con molte, troppe ore di ritardo.
Alle 10.35 l’F15 riusciva, mediante il segnalatore subaqueo Kessenden. a stabilire la comunicazione con il suo gemello, mentre l’F14 continuava a tra¬smettere ormai da quasi due ore: "Perché non mi rispondete?"
Si sapeva così che il sommergibile era appoggiato con la poppa su un fondale di 40 m, inclinato di circa 70° e che il suo equipaggio, ad eccezione di quattro uomini rimasti intrappolati a poppa, si trovava in buone condizioni riunito nei locali di prora.
Colle imbarcazioni del Brindisi e dell’Aquila (che era stato fatto ancorare nei pressi imprudentemente, come vedremo) continuarono le ricerche con palombaro e con sciabica; più tardi (circa alle ore 16.00) anche una squadriglia di idrovolanti, giunta da Venezia, sorvolava la zona per concorrere alle ricerche.
Le condizioni sfavorevoli del tempo e della corrente (molto forte e diretta verso nord) andavano nel frattempo ancora peggiorando, e il mare grosso rendeva assai arduo il lavoro delle piccole imbarcazioni disponibili. Le indicazioni fornite dagli aerei (che comunque videro il sommergibile) risultarono vaghe ed incerte, poiché la loro osservazione era stata gravemente ostacolata dalle condizioni meteorologiche.
A Pola intanto veniva preparalo il pontone G.A.141 da 240 t. Incaricato di dirigere le operazioni di rimorchio e di ormeggio dello stesso fu il capitano di corvetta Tullio Vian (un tecnico di grande esperienza). Durante l’interrogatorio, effettuato dalla commissione Nicastro, questi riferì di avere avuto l’incarico alle ore 10.30 e, aggiunse, in modo significativo, di non aver preso parte alle operazioni di approntamento del pontone . Il grosso galleggiante, incredibilmente, lasciò il porto solo alle ore 19,45. Pola cercò di difendersi, asserendo che mancava il mezzo adatto al rimorchio, e che questo si presentava particolarmente arduo per le condizioni del vento e del mare.
Intanto si continuava la ricerca dell’F14; il lavoro fu facilitato allorquando dal sommergibile si riferì di aver percepito lo strisciamento di una catena (era quella dell’Aquila, che purtroppo in seguito avrebbe provocato grossi problemi).
Verso le 18,00 il comandante dell’F15 riusciva ad ormeggiare una barca da palombaro sul punto dell’affondamento. Dopo poco si poteva dare volta a un cavetto di canapa e poi a uno d'acciaio sulla prora del battello, e successivamente era possibile innestare una manichetta da palombaro per il rifornimento dell'aria, rifornimento che si iniziava alle ore 20.22.
Purtroppo, risultava solo un'illusione quella che il pompaggio di aria nei tre locali prodieri del sommergibile - occupati dai 23 superstiti - potesse avere un qualsiasi effetto positivo. Per quegli uomini il pompaggio dell'aria, senza un corrispettivo sfiato, sarebbe stato solo un modo per avvicinare la morte. In quella poca aria che rimaneva, infatti, la percentuale di anidride carbonica sufficiente ad essere letale diminuiva con l'aumentare della pressione.
Così scrive l'ammiraglio Nicastro testualmente, nella sua relazione:
“... si cominciava l'invio dell'aria Nel frattempo però le segnalazioni dall'interno si erano fatte gradatamente più preoccupanti; quando si è finalmente individuata la posizione del Sommergibile si capiva che la situazione dell'equipaggio stava divenendo disperata e dopo l'immissione dell'aria si sono avuti solo segnali imprecisi che gradatamente sono cessati.”
Alle ore 01.00 del 7 giunse il pontone G.A.141. Il mare, agitato dal vento di nordest. rendeva difficile la manovra: ciò nonostante il comandante Vian riuscì con bella manovra" ad ormeggiare il pontone nella posizione voluta, con due boe e tre ancore.
Durante la prima guerra mondiale, le unità tipo "F" compivano regolarmente, durante le missioni di agguato in prossimità della costa nemica, immersioni di 16-18 ore consecutive, ma con l’equipaggio opportunamente ridotto a 12-14 uomini.
La situazione al momento della collisione era la seguente: la falla aveva provocato l’allagamento quasi istantaneo dei due locali 6-7, fra i quali la porta stagna era stata dimenticata aperta. La paratia stagna fra i locali 5 e 6 aveva resistito alla pressione di circa 40 m, ma la guarnizione di gomma della porta stagna, cedendo in parte, aveva provocato un infiltrazione di acqua nel locale 5 e successivamente nel locale; cosicché, poco dopo che il battello era posato sul fondo, il personale, chiusa la porta stagna fra la camera di manovra e il locale motori termici, si era rifugiato nei locali 1, 2 e 3.
A conti fatti, ai superstiti 23 uomini, riuniti nei predetti locali, restavano a disposizione soltanto 52 m3 di aria respirabile. Al momento dell'incidente, il sommergibile aveva compiuto due ore di immersione (a partire dalle 06.30, ora in cui, secondo le istruzioni, doveva trovarsi al posto di agguato). Dato il numero eccessivo delle persone a bordo la composizione dell’aria ambiente non poteva più essere perfetta, per l'elevata temperatura, l'umidità, e le esalazioni di olio e di nafta, di cui rimangono sempre residui nelle sentine.
Va precisato che alla pressione di 2 atm (quale poteva esistere circa otto ore dopo l'affondamento) una percentuale del 15% di anidride carbonica è letale: lo studio della Rivista Marittima, a questo punto, prende in esame la composizione dell'aria ambiente alle ore 21,00 e cioè poco più di 12 ore dall'affondamento.
Se alle ore 09.00 i 23 superstiti avevano disponibili nei 52 m3 di aria 9200 L di ossigeno, alle ore 21.00 - considerando un consumo medio di 25 L per uomo all'ora - ne restavano 3200. e cioè nell'aria ambiente vi era una percentuale del 3,8% di ossigeno, non più sufficiente alla vita. Tale percentuale poteva forse essere leggermente superiore, per l'ossigeno delle due bombole di prora, che erano state appunto adoperate.
Ma all'ora indicata, le condìzioni erano ulteriormente peggiorale, a causa della presenza di una grande quantità di anidride carbonica: infatti, considerando che un uomo ne emette 23 litri per ora - compiendo anche soltanto un piccolo sforzo fisico, quale quello di tenersi aggrappato in una posizione scomoda per la forte inclinazione del battello - dopo 12 ore erano stati emessi nell'ambiente 6348 L di anidride carbonica, in una percentuale, quindi del 12.2%.
Tale percentuale è ancora lontana da quella che risulta letale alla pressione atmosferica (30%). ma è molto prossima a quella mortale (15%) alla pressione di 2 atmosfere, che certamente era stata raggiunta nell'ambiente anche prima delle ore 20.0, per effetto della temperatura, dell'elevazione di pressione provocata dall’aumentata infiltrazione d'acqua, dell'ossigeno emesso dalle bombole, e dell'aria adoperata dal gruppo ad alta pressione (150 atm).
La pressione interna raggiunse poi le 4 o 5 atm quando, dopo le ore 20.00, si iniziò il rifornimento di aria dall'esterno (errore fatale).
È inevitabile che il testo della Rivista Marittima, redatto nello stesso 1928 si mostri sempre molto prudente nel non far sapere troppe cose ai lettori, che lo avrebbero letto in lutto il mondo Nelle frasi appresso trascritte si legge fra le righe un certo disagio su "quel pompaggio" che fu quasi un colpo di grazia:
Concludendo alle 21h, indipendentemente da altre cause le condizioni fisico-chimiche dell’aria ambiente erano tali da non permettere più la vita nell’interno del sommergibile. A tale ora infatti non si ha più che la trasmissione di qualche linea e parola senza senso e cessa definitivamente alle 22.50. Forse alle 18h non vi erano già più che agonizzanti, ed infatti è delle 18,00 il segnale: “fate presto, qui si muore" e sulle 6.30 è stato trovato fermo l’orologio da polso del Com.te Wiel perché forse a lale ora il suo corpo per svenimento o morte è caduto nell’acqua che si accumulava a poppavia nella camera di manovra.
Anche il capitano medico Guerriero Guerrieri, imbarcato sul Brindisi, rese all’ammiraglio Nicastro la sua testimonianza. E’ probabile che, per la sua preparazione universitaria, egli fosse l'unico in grado di intuire che il pompaggio dell'aria - non compensato da una qualsiasi forma di esaurimento della miscela gassosa in pressione all'interno del sommergibile - fosse solo un tragico errore. A ben leggere fra le righe della breve deposizione, si trova un cauto accenno:
Ho assistito all'invio dell'aria ... all'inizio si pompava lungamente fino a far salire la pressione a 5 Kg.: indi si fermava la pompa sino a che la pressione scendeva a circa 3 Kg.: poi si riprendeva a pompare e così di seguito; dopo qualche ora bastavano pochi colpi di pompa per arrivare ai 5 Kg. e quindi le sospensioni erano frequentissime.
E’peraltro probabile che il cambiamento del ritmo fosse causato, più che altro, da un certo equilibrio instauratosi fra pressione interna ed entrata d'acqua nello scafo, soprattutto attraverso la falla dello speronamento. Inoltre, durante l'ultima fase del sollevamento, il palombaro De Vescovi dichiarò - secondo quanto ci riferisce il testo dell’ammiraglio Nicastro - che si vedeva sfuggire aria abbondante da numerose guarnizioni.
Purtroppo è certo che il lungo periodo di tempo in cui le condizioni dell’equipaggio erano ancora discrete avrebbe dovuto essere utilizzalo per fornire, o semplicemente ricordare, le istruzioni più opportune, in primis quella di come sfogare la sovrapressione che si sarebbe formata con il pompaggio dell’aria. Ma non ci sentiamo di addossarne la responsabilità al povero comandante Wiel che, probabilmente ancora sotto choc per il gravissimo errore di manovra, dedicava comunque tutte le sue energie a tenere alto il morale di quel gruppo di sventurati, fra i quali non mancavano i giovanissimi e gli allievi.
Se mai, avrebbe dovuto subito pensarci il capitano medico (che pure sarà veramente eroico al momento dell'affioramento del sommergibile), il quale poteva e doveva avere chiare quelle semplici nozioni che, probabilmente, avrebbero dato grossi risultati. Più oltre accenneremo anche a manovre da disperati, le quali pure sarebbero dovute venire in mente ai due ammiragli di Divisione (Antonio Foschini e Denti eli Pirajno) che erano presenti quando, nel lardo pomeriggio del 6 agosto, si poteva ancora tentare qualcosa.
Il ricupero del relitto
Verso le ore 6 del mattino successivo, appena chiaro, il palombaro De Vescovi si immergeva per controllare la posizione del sommergibile e per chiamare, con colpi di martello contro lo scafo, l'equipaggio all’interno. Come purtroppo era da prevedere, non si ebbe nessuna risposta. Intanto il mare era rapidamente abbonacciato e lo stesso palombaro aveva iniziato la manovra di ammanigliare il paranco del pontone al maniglione poppiero del sommergibile. Già alle ore 08.30 De Vescovi, agendo con capacità e prontezza ammirevoli, compiva l’operazione. Mentre un rimorchiatore teneva ben teso il cavo di acciaio sulla prora del battello, iniziò, alle ore 10.15, l'operazione di sollevamento. Si riteneva che così il sommergibile potesse affiorare, mantenendo l’inclinazione primitiva. Ciò avrebbe dovuto impedire l'invasione di altri accumulatori da parte- dell'acqua di mare, penetrata nelle sentine.
Senonché. quando alle ore 11,00 fu fatto scendere di nuovo il palombaro per controllare come si presentasse il sommergibile, questi riferì che il battello aveva la tendenza ad assumere assetto orizzontale. e che ciò doveva attribuirsi almeno in parte al peso della catena dell’Aquila (filata precedentemente per occhio), che passava trasversalmente sopra la coperta, immediatamente a poppavia della torretta.
Fu deciso pertanto eli sostituire al rimorchiatore il pontone G.A.145, da 30 t, che nel frattempo era giunto da Pola. Mentre si ammanigliava il paranco di questo alla prora del sommergibile, si procedeva a liberare il battello dalla catena e dall'ancora dell’Aquila, operazione risultata abbastanza ardua, essendosi l'ancora impigliata, per due volte, in sporgenze della sovrastruttura del sommergibile.
Verso le ore 14 si ricominciò il sollevamento, che procedette un po’ lentamente, perché si era dovuto riprendere, per ben tre volte (data la profondità di lavoro), il paranco del pontone da 30 t.
“Alle 18h tutta la coperta del sommergibile era emersa ma non è più in alcuno l'ansia febbrile di accorrere ad aprire i portelli per liberare i compagni ormai muti da tante ore. Un grande silenzio si diffonde tutto intorno e succede al rumore degli argani ed alla fervente laboriosa opera.
Alle 18,40 vengono aperti i portelli ed una nube di gas di cloro che da essi si sprigiona conferma le più pessimistiche previsioni”
II capitano medico Guerrieri, che si offerse volontario, scese per primo nell'interno del portello di prora indossando la sua maschera antigas - che però non funzionava – e, pur restando mezzo asfissiato, riuscì a portare in coperta la salma del sottocapo torpediniere Bruno Uicich, che si trovava al fondo della scaletta presso il portello. Data la certezza che non poteva esservi più nessuno in vita, vennero richiusi i boccaporti.
Gli equipaggi si scopersero, e le bandiere delle navi scesero a mezz’asta.
Il sommergibile, sospeso dai pontoni, venne rimorchiato a Pola per l'immissione in bacino; nella mattinata dell’8 il battello fu messo a secco, e subito iniziò l'estrazione delle salme, dopo aver ventilato l'interno e neutralizzato. con mezzi adatti, i gas nocivi.
LA morte dell'equipaggio fu quindi provocata dalla mancanza di ossigeno e dall'alta percentuale di anidride carbonica, dopo circa 12 ore dall'affondamento: dobbiamo però considerare anche l'influenza dei gas di cloro che, per quanto in lieve proporzione, certamente contribuirono a peggiorare le condizioni dell'aria ambiente.
La relazione igienico-sanitaria" dell'Ospedale Marina di Pola sottolinea, a p. 2, che pochi minuti dopo l'inizio della mandata di aria nel battello la pressione interna aveva raggiunto le tre atmosfere. Subito dopo descrive le varie fasi del ricupero dei cadaveri. Alle ore 18.40 del 7, dopo 34 ore dalla collisione e circa 20 ore dall'ultimo segnale dell'equipaggio, furono aperti i portelli del sommergibile. Si è sprigionata una densa nube di gas che fu ritenuta dai presenti cloro".
La descrizione delle condizioni della salma del sottocapo Uicich conferma quanto detto sopra, infatti:
…il volto era pallido e l'espressione tranquilla. Non aveva schiuma alla bocca ... aveva le labbra, le congiuntive e le unghie cianotiche. I globi oculari erano afflosciati. Li rigidità muscolare era appena iniziata nella mandibola e negli arti superiori.
Alle ore 10 del giorno 8 (in bacino, a Pola) furono estratti i cadaveri di quattro allievi fuochisti e motoristi dai locali allagati di poppa. Questi si pre¬sentavano con la faccia e la testa gonfie, di colorito azzurrognolo, con gli occhi prolusi; i loro arti erano pallidi, con pelle anserina, le mani contratte.
…Alle ore 10.30. con gli adatti mezzi neutralizz/anti inviati da quest'ospedale, si procedette all’estrazione delle altre 22 salme; ... nella maggior parte [presentavano] il viso leggermente cianotico, con gonfiore delle labbra ... le membra erano rattrappite e rigide, le mani ed i piedi di colore biancastro; la pelle rugosa; presentavano inoltre evidenti macchie ipostatiche di colore rosso scuro ...
Il cadavere del Sottocapo Torpediniere Uicich Giordano fu trasportato nella camera mortuaria dell ospedale alle ore 4 del giorno 8, gli altri 26 alle ore 16 dello stesso giorno.
Alle ore 21.00 iniziarono a manifestarsi i primi fenomeni di putrefazione; l'odore cadaverico rese un poco penosa l’operazione di lavaggio e vestizione dei cadaveri, nei quali era comparsa la rigidità e si erano via via accentuate, sino al momento di chiusura delle salme nelle casse, tutte le comuni manifestazioni della putrefazione, malgrado fossero state eseguite iniezioni endope-ritoneali eli formalina.
Per mancanza di tempo non fu praticata alcuna autopsia, stante l'immediato arrivo dei Congiunti.
Le solenni esequie
L'enorme eco suscitata dal Disastro in tutta Italia è rispecchiata dal coverage assicuratole dalla stampa quotidiana. Sentiamo cosa scrisse- il Corriere della Sera, parlando dei solenni preparativi di giovedì 9 agosto:
I ventisette Caduti giacevano stamane nella camera ardente dell'Ospeda¬le militare. In mezzo il capitano di corvetta Wiel. in alta tenuta, con l'elsa della sciabola la fra le mani Vicino a lui il giovane guardiamarina Fasulo: poi gli altri compagni di sacrificio. Ogni bara aveva i suoi fiori: le mani pietose dei marinai avevano disposto omaggi sulle salme.
Nel pomeriggio - continua la stessa cronaca - le salme furono chiuse in casse di zinco e trasportate in un altro locale dove, vegliate eia marinai sommergibilisti. rimarranno fino alle ore 17.00 dell'indomani, quando saranno svolti i funerali.
Secondo le disposizioni del contrammiraglio Luigi Slaghek, comandante la Piazza Marittima di Pola, le bare dei sottocapi e dei marinai semplici saranno poste due per autocarro, seguiranno quelle dei sottufficiali, una per mac¬china, mentre i due ufficiali chiuderanno il corteo, trasportati su due carri fu¬nebri della Regia Marina.
Diamo di nuovo la parola al Corriere, per le esequie del giorno dopo:
Pola è in lutto. Tricolori abbrunati sugli edifici, drappi neri ai balconi, velati di nero persino i fanali delle vetture pubbliche e le tende delle rivenditrici del mercato cittadino. Tutti i negozi sono chiusi. ... (Foco prima delle ore 17,00 le ventisette bare di legno bianco, tutte avvolte nel tricolore, erano portate a spalla da marinai nel giardino dell’Ospedale, dove attendevano, parati a lutto, gli autocarri destinati al trasporto. Profonda commozione ha destato un cuscino di fiori bianchi, deposto sulla bara del marinaio Fontanive, recante sul nastro candido la scritta: Papà sarò bravo. I nastri di un'altra corona, quella della sposa della stessa vittima, dicono: Rodolfo, vivrò per il nostro bimbo. ... Alle ore 17.00 precise il corteo si mette in moto ... subito dopo c'è la teoria degli autocarri e dei carri che trasportano le salme, seguito ciascuno da gruppi dolorosi di familiari ... si trovano il colonnello Ripa di Meana, in rappresentanza del Re: l'ammiraglio Sirianni. che rappresenta il Governo e la Marina; il rappresentante del generale Cavallero, sottosegretario alla Guerra. ... Il corteo passa tra una fittissima pioggia di fiori, e tra singhiozzi mal repressi della folla. Colpi a salve partono a lunghi intervalli da bordo della San Marco, ancorata nel porto
Alle 117,30 il corteo giunge alla Chiesa della Madonna del Mare - Famedio del marinaio italiano - dove si svolge la cerimonia religiosa della as¬soluzione delle salme, celebrata dal cappellano militare conte monsigno¬re Aleramo Cravosio. circondato da tutto il capitolo della Cattedrale. ... [L'ammiraglio Sirianni pronunzia brevi, commosse parole! ... il corteo si ricompone, dirigendosi al cimitero di Marina, il cimitero polese degli eroi, dove riposa Nazario Sauro.
Ivi avrà luogo la tumulazione provvisoria delle salme Le bare sono disposte una accanto all'altra su un leggero declivio, come una scala che pare voglia attingere l'orizzonte sfolgorante. E, davanti alle bare presso le quali s'inginocchiano le madri, le spose e i figli dei Caduti, l'ammiraglio Foschini, il comandante della divisione navale così duramente colpita dalla sciagura, saluta i suoi valorosi del sommergibile F14".Egli dice: "La sventura non deve abbatterci ma rafforzarci. Per difendere la Patria in guerra bisogna affrontare tutti i rischi. Dio non ha voluto farci la grazia del dono della vita di taluni almeno dei nostri compagni". Ma Isidoro Wiel scrisse sul suo taccuino: “Siamo sereni” e il radiotelegrafista Trolis ripeteva la parola del comandante sul suo apparecchio, mentre tutti agonizzavano intorno a essi.
"Madri dei marinai, siate forti come sono forti le madri degli eroi. E scrisse Isidoro Wiel sul suo taccuino: Dio, Famiglia, Patria. E sarà questo il nostro Vangelo. Lo porteremo nei nostri cuori; lo incideremo sulle vostre tombe perché tutti sappiano come sanno morire i marinai d'Italia." ... Tra le bare una vecchietta abbraccia la cassa ove riposa il suo figliolo e leva il volto disfatto. Un trombettiere gitta al vento tre volte gli squilli del Saluto alla bandiera, e ogni volta gli risponde, di tra le tombe, uno scroscio di moschetti.
Ecco perché, ritornando a quelle due piccole lapidi viste un giorno in un piccolo cimitero di paese, ho voluto ricordare il drammatico incidente dell’F14. Spero di avere dato un piccolo contributo, con questo, alla memoria dei miei due concittadini e di tutto l’equipaggio dell'F14.
Un’ultima cosa: i cadaveri dei due marinai furono rinvenuti abbracciati uno all’altro…Eccoli, ancora insieme, dopo 80 anni:
Il comandante Isidor Wiel
Il pontone durante l'operazione di ercupero, è visibile la torretta dell'F 14 che affiora...
Velina gentilmente concesse dal Sig. Igino Gardel
Onore a tutti i Caduti
.....rivivi gli ultimi ATTIMI...
COMUNICAZIONE TRA IL SOMMERGIBILE F14 E F15