Guglielmo Lepre
(nick GRUPSOM - C.te ETNA)
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L’ORA E’ SUONATA
Il RS Macallè,al comando del TV Morone uscì in mare il pomeriggio del 10 Giugno con destinazione un punto d’agguato situato a 8 miglia a levante di Port Sudan.
Così come previsto dalle norme d’impiego elaborate da Supermarina,l’unità doveva navigare in superficie nottetempo e in immersione durante le ore di luce,il che avrebbe consentito al battello di
giungere in posizione dopo poco meno di due giorni e mezzo di navigazione.
Come sì è già detto,il Mar Rosso e le sue coste,è una delle zone più infide per quanto attiene alla
condotta della navigazione a causa di un gran numero di isole,isolotti,scogli e reefs corallini ;
una navigazione resa ancor più problematica dalla mancanza di punti di riferimento rilevabili di
notte a causa dello spegnimento dei fari e dalla incompletezza della cartografia nautica di quel
settore.
Conseguentemente la determinazione del punto nave poteva essere effettuata solo con la luce
solare e al periscopio con le inevitabili approssimazioni,giacchè riducendo la distanza dal pelo
dell’acqua dell’osservatore ne trascende un impoverimento della bontà del dato rilevato con una
ulteriore aggravante dovuta alla rifrazione generata dall’alta temperatura al suolo ; salvo che l’oggetto
rilevato non fosse ben all’interno dell’orizzonte visibile,quindi ragionevolmente vicino,per cui i dati sono
da considerare molto più affidabili.
L’ultimo punto rilevabile e quindi buono per determinare la posizione,era il faro di CAVET,che
si accese come programmato in precedenza,giusto il tempo occorrente al bordo.
Il giorno seguente,a luce fatta,non fu possibile rilevare la posizione con l’osservazione astronomica
(rette d’altezza di sole) a causa della totale copertura del cielo e tale situazione si protrasse per tutta
la giornata del 12,giornata nella quale si ebbero i primi manifesti segni di intossicazione da Cloruro
di Metile fuoruscito dall’impianto di condizionamento,soprattutto fra gli uomini nella camera di
lancio prodiera. Sulle prime si pensò più ad una intossicazione alimentare non avendo rilevato
perdite nel corso di accurate ispezioni,ma nel corso delle seguenti 24 ore,il numero degli intossicati
iniziò a crescere,malgrado la completa ventilazione degli interni durante la notte navigando
in superficie.
(Si rammenta che le norme di guerra consentivano di lasciare aperto il solo portello in torretta)
All’alba del 14 Giugno,poco prima di effettuare l’immersione,dalla plancia fu avvistato un traliccio
che erroneamente fu ritenuto essere il faro segnalante le secche di SANGANEB,mentre al
contrario si trattava del faro di HINDI GIDER con uno scarto di ben 3 miglia marine.
Il disastro fu da imputare principalmente a questo errore di valutazione,come vedremo,in parte
giustificato dalle precarie condizioni psico-fisiche degli ufficiali medesimi.
Costretti a navigare per tutto il giorno in immersione,le intossicazioni assunsero un carattere
ancor più generalizzato e fuori d’ogni controllo : alcuni uomini si muovevano come automi ed altri
giunsero a fare e dire cose senza alcun senso,in preda a manifesto delirio.
Giunta l’oscurità,di concerto con il suo secondo,il Comandante Morone decise di emergere
oltre che per ventilare gli interni anche per valutare se l’apporto di aria fresca riuscisse a riportare
in salute gli intossicati,diversamente si sarebbe valutata la possibilità di interrompere la missione
e rientrare a Massaua.
Purtroppo era giunta l’ora di pagare lo scotto dell’errato apprezzamento della posizione : alle
02.35 del 15 Giugno,la prua del Macallè andava a infrangersi contro la scogliera dell’isolotto
BAR MUSA CHEBIR a SudEst di Port Sudan.
Malgrado gli innumerevoli tentativi di disincagliare il battello,sia con spostamenti di acqua
nelle casse,sia agendo sui motori compatibilmente con l’altezza della marea ,ben presto fu chiaro
che l’unità era condannata e che i gravi danni subiti nell’urto non consentivano residue speranze.
Il Comandante ne decise l’abbandono dopo aver distrutto cifrari e documenti segreti ed aver provveduto
a trasferire sull’isolotto la maggior quantità possibile di viveri ed acqua con il battello di salvataggio.
L’equipaggio al completo prese terra sull’isolotto mentre il Macallè,scivolando di poppa,si inabissava
per posarsi sui fondali del Mar Rosso,senza che nell’intervallo fra il momento dell’urto e quello
dell’affondamento fosse stata trasmessa notizia alla base di Massaua,e ciò prova le pessime condizioni psico-fisiche degli uomini al limite delle risorse umane.
Malgrado tutto,l’equipaggio si organizzò su quella improvvisata base d’emergenza,dando prova di
una disciplina e d’un valore fuori del comune.
Il Comandante decise di effettuare un tentativo imbarcando sul battello di salvataggio,
l’allora GM Elio Sandroni e due altri membri dell’equipaggio dotandoli di una bussola,di carta nautica,di
un lenzuolo quale vela d’emergenza,di tre misere bottiglie d’acqua e ancor più scarsi viveri.
Il mattino del 17,i tre presero terra sulla vicina costa senza incontrare anima viva,nonostante
fossero in territorio sudanese ; ripreso il mare,soltanto il giorno 20, incontrarono una pattuglia
di ascari in perlustrazione ma sprovvisti di qualsiasi mezzo di comunicazione.
Con il battello ridotto in condizioni miserrime e senza perdersi d’animo,gli uomini ripresero ancora il
mare,costeggiando verso Sud,fra scogli e banchi corallini,sui quali sovente finivano con l’arenarsi.
Soltanto nel tardo pomeriggio di quello stesso giorno riuscirono a giungere presso il faro di TACLAI
dal quale poi comunicarono con la base.
Al futuro Ammiraglio Sandroni,fu conferita la M.A.V.M. quale riconoscimento per la perizia e
per la tenacia di cui aveva valorosamente dato prova.
Fu immediatamente inviato un S-81 nella zona dell’affondamento che,individuati i superstiti,
provvide a lanciare acqua e viveri,comunicando al contempo la posizione al Guglielmotti,che era
stato mandato in mare per raccogliere i naufraghi del Macallè.
Nella giornata del 22,l’unità italiana imbarcò tutta la gente del Macallè e subito prese l’immersione
a scanso di sorprese,e bene fece perchè gli inglesi avevano avvistato gli uomini della sfortunata
unità e stavano organizzandone la cattura.
Quando però giunsero sul posto con un idro,non rimase altro che guardare scornati le rocce
dell’isola tornate silenziose e deserte.Pag.3
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